Capitolo 33

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Che farei io senza l'assurdo?

(F. Khalo.)

Franz era appena rientrato dal suo turno di pattuglia e, per ritirarsi nella sua camera, percorreva stancamente il corridoio dell'albergo che l'ospitava. Ogni giorno era sempre la solita storia, la solita routine che si ripeteva senza neanche troppi colpi di scena: gente che cercava di compiacerlo in quanto nemico, invasore pericoloso, colui che avrebbe potuto recidere vite da un momento all'altro; chi cercava di fronteggiarlo con lo sguardo e, chi invece, ammiccava di tanto in tanto: era un ragazzo piacente, dopotutto; poi c'era sempre il più coraggioso, quello che contava sugli alleati.

Erano stati annessi da più di un anno, eppure cercavano di osteggiarli come potevano, certi della loro salvezza.

Franz, invece, non vedeva che morte e povertà intorno a lui.

Scosse la testa a quel pensiero: avrebbe dovuto interessarsi solo al cibo in quel momento e fari farsi una bella dormita, perché era davvero esausto.

L'unica sua consolazione giornaliera era la speranza, la speranza di vedere posta poggiata sul suo letto ben fatto. Bramava fiducioso la risposta di Friderich, anche solo dopo dodici ore.

Aprì la porta e vide Arthur, sporco di sangue, che si stava lavando le mani e il viso in un catino. «Stai bene?» gli domandò Franz preoccupato, avvicinandosi per controllare se fosse o meno ferito.

«Sì, sto bene. Il sangue che vedi non è il mio.»

Franz non osò chiedere oltre. Non voleva sapere che cosa facevano i suoi compagni d'armi. Ciò che lo circondava era già troppo da sopportare per lui; non perché avesse una chissà quale salda morale: per lui gli ordini erano ordini, ma la vicinanza con Ludwig gli aveva fatto capire che, forse, bisognava essere più giudiziosi, almeno sotto certi aspetti.

«Sei sicuro di stare bene?»

«Sì, Franz, te l'ho già detto. La tua fidanzata non sarà gelosa di tanta premura?»

«Sono solo preoccupato per il mio compagno d'armi, nonché compagno di stanza, non dovrei esserlo?»

Arthur fece spallucce. «Magari è proprio questa premura che gli ha fatto tremare le gambe alla tua fanciulla.»

«A sua detta è la qualità che apprezza di più.» Franz rise al ricordo dolce di Friderich.

Non fece in tempo ad abbandonarsi totalmente al ricordo, perché un'altra preoccupazione lo distrasse, si avvicinò ancora di più ad Arthur e gli afferrò il polso, poi disse: «Che cosa stai facendo? Vuoi forse impazzire del tutto? Non ti serve il Pervitin adesso!»

Arthur si divincolò dalla stretta di Franz.

«Quanti giorni sono che non dormi? Ti vedo fare avanti e indietro per la stanza, ma mai per dormire! Vuoi collassare del tutto? A cosa servi poi? Come può un cadavere invadere una Nazione per il proprio paese?» Era talmente infuriato che lo travolse di parola senza dargli neanche il minimo tempo per rispondere, aspettò che tacesse e poi rispose: «Sei forse mia madre, Franz? Che vuoi che mi faccia una pasticca in più? Guarda sembrano caramelle! Se sembrano caramelle e stanno in una confezione per caramelle, non faranno poi tanto male!» Agitò il flacone in aria, lasciando che le pasticche ticchettassero all'interno del contenitore.

«Quelle servono per farti essere più resistente e forte in battaglia. Lo sai bene! Adesso che sei qui, in stanza con me, a cosa ti servirebbero?»

«Mi servono, lo sai che mi servono. Devo essere lucido, costantemente. »

«Per ammazzare la gente anche quando non serve?»

«Stavano cercando di rubare le nostre risorse, i nostri viveri!»

La ballata dei petali cadutiDove le storie prendono vita. Scoprilo ora