Capitolo 28

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Il destino non è questione di fortuna,
è questione di scelte.
Non è una cosa da aspettare,
è una cosa da raggiungere.
(William Jennings Bryan)

Agnes era svenuta in terra nel bel mezzo del soggiorno e suo marito se ne era andato come nulla fosse, come se avesse gettato cartaccia

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Agnes era svenuta in terra nel bel mezzo del soggiorno e suo marito se ne era andato come nulla fosse, come se avesse gettato cartaccia.

Ghertrude, o meglio Ilia, si precipitò da lei per soccorrerla e, dopo averla tirata su a fatica, le prese il viso tra le mani e le pulì la ferita che Huge le aveva inferto, riuscendo a tirare un sospiro di sollievo solo quando la vide riprendersi. Stava bene, non poteva chiedere di meglio; tuttavia fu automatico insistere affinché chiamasse un medico, e alla fine riuscì anche a convincerla: Agnes cedette, sapendo che suo marito non sarebbe rientrato in casa per "punirla". Ironico, dal momento che il suo unico desiderio fosse quello di restare sola in casa e passare attimi della sua esistenza senza di lui.

«Allora, dottore?» Agnes serrò le mani in due pugni. Sperava che il dottore non le desse brutte notizie, ma erano solo sue congetture, mere preoccupazioni, visto che il medico, sul suo volto non aveva altro che un'espressione compiaciuta.

«Signora Ritcher, il livido che è comparso sul suo viso sparirà entro qualche giorno, ma c'è un'altra cosa che devo dirle...» Quel tale, medico nazista, prese una pausa per comunicare "la lieta notizia"; eppure si sentì subito incalzare:

«Avanti dottore, su mi dica, non mi faccia rimanere sulle spine.» Agnes sembrava preoccupata: aveva cominciato a sudare freddo, temeva per il peggio.

«Presto la nostra gloriosa Germania beneficerà di un altro componente sano, forte e in salute.»

Ad Agnes mancò la terra sotto i piedi. Le gambe le divennero improvvisamente molli, ma si fece forza e rimase ritta. Non doveva dar segno di disagio o di disperazione, così si disse. Inoltre, il solo fatto che lui desse per scontato che avrebbe partorito un figlio maschio, soldato magari, la faceva nauseare. Avrebbe potuto mettere al mondo una bellissima bambina, invece; e chi poteva dirlo se non il tempo? Ma sapeva che gli uomini erano capaci a dare tutto per scontato, specialmente la discendenza, il cosiddetto "erede", perché una principessina non era ammissibile nella stirpe. «Sono molto lieta della notizia, dottore. Anche mio marito lo sarà» gli disse, mentre lo accompagnava alla porta. Bugie, solo bugie, ne stava dicendo una dietro l'altra. Forse era felice di avere un bambino, ma non lo avrebbe tirato su, o tirata su, come un ariano; tantomeno in quella casa.

Ilia ebbe come la sensazione di poter essere abbandonata da un momento all'altro. Credeva che Agnes, con un bambino da crescere, l'avrebbe esclusa, perché ritenuta meno importante o semplicemente seconda. Forse erano solo sue sciocche preoccupazioni, ma la sola idea di perderla la faceva stare male e le stringeva il petto: non avrebbe voluto permetterlo; ciononostante, l'avrebbe assecondata per amore.

«Mi raccomando, signora Ritcher, si riguardi.» Il medico sollevò appena il capello in segno di saluto.

Agnes arricciò il naso per il modo autoritario e ricco d'orgoglio con il quale era stato pronunciato il suo nome: non c'era niente di bello nella famiglia Ritcher. «Una gravidanza non fa di me una moribonda...» bisbigliò allontanandosi dalla porta ormai chiusa e avvicinandosi al tavolo. Aveva preso carta e penna, con tutta l'intenzione di scrivere qualcosa.

La ballata dei petali cadutiDove le storie prendono vita. Scoprilo ora