23. Il linguaggio della pelle è universale - Parte II

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SECONDA PARTE

«Ehi, tutto bene?» La mano di Mya si posa sulla mia coscia, catturando la mia attenzione

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«Ehi, tutto bene?» La mano di Mya si posa sulla mia coscia, catturando la mia attenzione.

«Sì, tutto ok... Sono solo in pensiero per il pulmino... Spero si tratti solo di quello che hanno detto... se dovesse esserci di mezzo il motore, sarebbe un guaio bello grosso...» sbuffo preoccupato.

«Ma no, Luana mi sembra una che sa il fatto suo, vedrai che sarà solo il radiatore.» prova a confortarmi, spostando il suo tocco dalla mia gamba alla nuca e accarezzandomi piano i capelli.

Chiudo gli occhi solo per un secondo e mi abbandono alla sua carezza leggera, poi giro la testa verso di lei e bacio l'interno del suo polso, inspirando a fondo per sentire il profumo frizzante della sua pelle, quel profumo che manda al manicomio ogni mio buon senso.

«Mat, che hai? Te lo leggo negli occhi che qualcosa non va...» insiste Mya in tono malinconico.

Riporto lo sguardo sulla strada di fronte a me e sulla targa del mio pulmino, che ci precede sul carroattrezzi.

Dopo essermi assicurato che il resto dei passeggeri sul sedile posteriore sia addormentato o distratto dalla musica proveniente dalle auricolari, decido di aprirmi con Mya.

Perché lo voglio.

Perché lo desidero.

E perché ne ho bisogno.

«Lo so che penserai che è stupido essere così tristi per una macchina, ma la verità è che quel pulmino per me è molto più che un semplice mezzo di trasporto... È l'ultimo regalo che mi ha fatto mio padre.»

E mentre le confesso una parte del mio passato che in pochissimi conoscono, non riesco a guardarla negli occhi, perché so bene che le basterebbe uno sguardo per leggermi dentro e ho promesso a me stesso che non avrei permesso più a nessuno di entrare. A nessuno.

«Lo ha comprato per te o era suo?» mi chiede timidamente, ma so benissimo che la domanda che vorrebbe pormi è un'altra, le manca solamente il coraggio di farmela. Per ora, almeno.

«Era suo, lo comprò negli anni '80 per poter girare l'Italia insieme agli altri membri della sua cover band...»

«Una cover band? Che figata! E di quale gruppo?»

«The Beatles. Erano parecchio bravi, sai? Ho dei nastri, da qualche parte, che registrarono in occasione di alcune serate... Se vuoi qualche volta posso farteli ascoltare» le dico, con un sorriso nostalgico a incurvarmi le labbra.

«Certo, mi piacerebbe moltissimo! Ma si vestivano anche come loro? E tuo padre quale strumento suonava?» Il suo tono prima esitante ora è entusiasta e desideroso di saperne di più, così decido di soddisfare la sua curiosità e raccontarle la storia di mio padre e della sua gioventù da musicista.

«Sì, li imitavano in tutto, anche negli outfit.» Ridacchio, ripensando alle foto del mio vecchio con i capelli lunghi, la barba e i pantaloni a zampa d'elefante. «Mio padre suonava la chitarra e interpretava John Lennon, mentre il padre di Lorenzo impersonava Paul McCartney. Insieme ad altri due amici che abitavano nel loro quartiere e con i quali condividevano la passione per i Beatles, hanno fondato la cover band e hanno avuto anche un discreto successo. Nell'82 girarono l'Italia in lungo e in largo con il pulmino per esibirsi nelle sagre di paese... Certo, i guadagni erano scarsi, se non inesistenti, però mio padre mi ha sempre detto che quello è stato il periodo più bello della sua vita...»

«Che bella storia, Mat, ma... perché stai piangendo?»

Porto istintivamente una mano sul viso e sento le lacrime scivolarmi tra le dita, mentre le mie labbra continuano inspiegabilmente a sorridere.

Non me n'ero neppure accorto.

«Mat... quale peso ti porti nel cuore..?» mi chiede Mya, con un'innocenza e una schiettezza che da lei non mi sarei mai aspettato.

Tiro su col naso e mi asciugo le guance nel tentativo di ricompormi, consapevole che se non lo farò ora non ci riuscirò più, non dopo averle raccontato la fine di questa storia.

«Nessun segreto, Mya, è solo che... che mio padre non c'è più... Ma non so perché piango, in fondo sono passati più di dieci anni... non ha granché senso...»

«Ehi, Mat» mi interrompe, arginando il mio farfugliare scomposto, «non hai nessun bisogno di giustificarti con me... Non c'è mai un momento sbagliato per piangere le persone che si sono amate, né per smettere di soffrire per la loro mancanza... Io lo so bene...»

Distolgo per un secondo gli occhi dalla strada per puntarli nei suoi, scuri come due pozze delle quali non si riesca a vedere il fondo, e vi trovo il riflesso di una ferita ancora aperta, di una sofferenza che intuisco essere simile alla mia.

«Anche tuo padre...?» Le parole mi muoiono in gola, ma so bene che in questo momento i nostri sguardi comunicano molto meglio delle nostre labbra.

«No, per fortuna no, ma i miei genitori si sono separati quando io ero molto piccola e mi è mancato molto avere mio padre accanto tutti i giorni, come in una vera famiglia... Poi è arrivato Jonathan, il padre di Scarlett, e la situazione è un po' migliorata... Sai, almeno mia madre non era più triste... e lui è fantastico, è sempre stato buono e premuroso con me, però...»

«...però tuo padre è tuo padre.» completo io.

«Già...» La sua voce si fa sottile e con la coda dell'occhio colgo un luccichio sulla curva delle sue ciglia.

Lascio il cambio e faccio scivolare le mie dita tra le sue per stringerla forte, senza aggiungere altro. E affido i miei pensieri e le mie parole al linguaggio della pelle, silenzioso e universale, con l'inspiegabile certezza nel cuore che lei possa capirmi come nessuno ha fatto mai.

Sento la sua mano, esile e sottile, rispondere al mio tocco, dirmi tacitamente che anche lei ha sofferto e si porta dietro questo squarcio nell'anima che ancora non riesce a rimarginarsi, proprio come faccio io. E chi dice che il tempo può guarire ogni ferita mente, perché le nostre mani strette nel buio della sera e i nostri occhi pieni di lacrime che si rifiutano di cedere alla gravità sono la prova che, a volte, una ferità può sanguinare per sempre, trasformandosi semplicemente in un dolore sordo che fa da sfondo a ogni momento, anche a quelli più felici.

Trascorriamo il resto del viaggio così, mano nella mano, nel silenzio più totale, circondati solo dai respiri addormentati dei nostri compagni di viaggio e dai nostri sospiri tristi e nostalgici, mentre il ricordo di un passato che non potrà più tornare tiene le nostre menti lontane e le nostre pelli incollate.

Trascorriamo il resto del viaggio così, mano nella mano, nel silenzio più totale, circondati solo dai respiri addormentati dei nostri compagni di viaggio e dai nostri sospiri tristi e nostalgici, mentre il ricordo di un passato che non potrà più t...

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