Capitolo 45

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Il Capitano mi abbandonó. Non serví a nulla richiamarlo ed osservarlo, mentre si allontanava. Rimasi attonita, con gli occhi puntati sulla sua schiena. Il suo passo era sicuro e spedito, seguiva la ragazza come se da lei dovesse dipendere la sua stessa vita.
Era la prima volta che vedevo il Capitano tanto determinato.
Tuttavia, ero rimasta da sola, fuori dalla stanza del Consiglio. Perció, sarei dovuta rimanere da sola? E se qualcuno mi avesse fatto del male?
L'unico modo per restare al sicuro, in quel momento, era stare con il Capitano.
Corsi nella direzione in cui si era incamminato il Capitano; tuttavia, dopo alcuni passi, mi guardai intorno, confusa. I corridoi erano tutti uguali ed il Capitano non si vedeva. Anche la ragazza sembrava essere scomparsa.
Non mi ero allontanata molto dalla stanza del Consiglio, ma rivedere Rowena non era il mio desiderio piú grande, perció decisi di non tornare indietro.
Ora che riflettevo su quel posto, anche James, che era stato appena portato fuori da quella stanza, era scomparso.
Cominciai ad agitarmi. E se davvero mi fosse successo qualcosa, in quel momento, da sola?
Non sapevo dove fosse andato il Capitano. Tuttavia, non era la prima volta che percorrevo quel corridoio: sarei riuscita a raggiungere la mia camera. E, se non fossi potuta stare con il Capitano, sarei tornata nella mia camera.
Accelerai il passo. I tacchi bassi delle mie scarpe ticchettavano contro il pavimento, ricordandomi fastidiosamente il rumore dei tacchi di Rowena. La pietra era quasi scivolosa.
Senza quasi accorgermene, arrivai a correre, in preda al battito del mio cuore, che mi diceva solo di raggiungere un posto sicuro, senza dover tornare da Rowena.
Anche se avevamo stretto un accordo, Rowena non aveva mantenuto la sua parola, aveva giocato sporco. Era stato tutto programmato.
Appena prima di svoltare l'angolo che avrebbe dato sul corridoio su cui affacciava la mia camera, intravidi, sul lato opposto, rispetto al punto in cui mi trovavo io, un lieve movimento ed un leggero rumore. Era l'ombra che copriva la luce. Era il leggero cigolare di una serratura ben fatta, ma antica. Era una porta. E si stava chiudendo. E, dietro quella porta, intravidi una maglia nera e dei pantaloni neri. L'uomo aveva i capelli tirati all'indietro e stava chiudendo la porta dietro di sè, chiudendosi nella stanza.
Non riflettei ed agii: le mie gambe mi fecero correre, mi affrettai a raggiungere la porta che si stava chiudendo. In un attimo, il mio piede sinistro era incastrato tra lo stipite della porta e la porta.
Trattenni un urlo di dolore. Pregai che il Capitano riaprisse la porta subito.
Come avevo sperato, il Capitano notó il mio piede dolorante e riaprí leggermente la porta.
Io tolsi immediatamente il piede dall'incastro e mi piegai, per levare la scarpa e massaggiarmelo, ma, in quel momento, il Capitano agí di nuovo e si apprestó a chiudere la porta.
No! No, no, no!
Afferrai il bordo della porta con le mani, spingendo la porta verso il Capitano, tentando di tenerla aperta. Dire che fu tutto inutile è un eufemismo. Anzi, la porta si chiuse ancora piú velocemente, si avvicinó ancora di piú a me.
Capitano, le mie dita!
C'erano le mie mani aggrappate alla porta! Il Capitano mi avrebbe rotto tutte le ossa delle dita!
Capitano!
Senza poter dire alcuna parola, infilai tutto il mio corpo nella piccola fessura che era rimasta, tra lo stipite e la porta. Il legno graffiava il mio petto e la mia schiena.
All'interno della stanza, il Capitano mi fulminava con lo sguardo e spingeva, per chiudere la porta, schiacciandomi.
Il fiato mi uscí dai polmoni a rantoli.

"Capitano!" lo supplicai, con la voce roca.
Lui non aspettó altro e, dopo aver tentato di chiudere la porta un'ultima volta, la riaprí, spalancandola.
Per poco, dallo stupore, non gli caddi addosso. Non mi fu possibile cadere, peró, perchè il Capitano mi afferró prontamente e chiuse immediatamente la porta dietro di me. Avvertii distintamente il rumore di una serratura, poi una mano mi bloccó le vie respiratorie, posizionandosi sulla mia bocca e tappandomi il naso con pollice ed indice.
Il Capitano mi stava soffocando.
Andai in panico, senza riflettere, senza capire cosa dover fare: il Capitano aveva chiuso la porta a chiave, avrebbe avuto l'occasione per sbarazzarsi di me facilmente, nessuno mi avrebbe sentita, con la sua mano sulla mia bocca.
L'aria cominció a scarseggiare, nei miei polmoni.
Il Capitano mi teneva ferma, bloccandomi le braccia sui fianchi.
Tentai di divincolarmi, ma inutilmente. Era tutto inutile, la presa del Capitano era troppo forte.
La vista cominció ad annebbiarsi, a coprirsi di macchie nere, la testa mi girava. Non riuscivo quasi piú a capire nemmeno i miei pensieri.

"Mamma!".
Era stata una bambina ad urlare. La sua voce era limpida ed allegra, gioiosa, innocente, innocua.
Altre piccole braccia si avvinghiarono attorno a me, ma sulle mie gambe. Erano le braccia della bambina.

"Papà, lascia la principessa." disse un'altra voce.
Era la stessa voce che avevo sentito poco prima, fuori dalla stanza del Consiglio. Apparteneva alla ragazza dalla pelle di tonalità abbronzata e gli occhi ed i capelli scuri come l'ebano.
Tuttavia, non riuscivo ancora a pensare lucidamente, ad essere sicura della voce che avevo sentito.
Ci fu un attimo di silenzio, che mi parve un'infinità, nella situazione in cui ero.
Poi, il Capitano aprí le braccia. Non c'era piú niente a sorreggermi, ad impedire che il mio corpo cadesse a terra. E io non avevo abbastanza forza per impedirlo.
Nemmeno le esili braccia alle mie gambe riuscirono a fermarmi.
Mentre cadevo, non pensavo a niente. Non riuscivo a vedere niente. Fino a quando un altro paio di braccia, piú esili, meno robuste di quelle del Capitano, ma piú forti di quelle alle mie gambe mi afferrarono per le spalle, mantenendomi in equilibrio, impedendo al mio corpo di crollare.
Rimasi tra quelle braccia, confusa.
Quando riaprii gli occhi, davanti a me, c'era il viso della ragazza dagli occhi e dai capelli color ebano.

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