Capitolo 62

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Camminai a testa bassa. Era l'unico modo che avevo per camminare senza assistere all'orrore.
Le persone cadevano ai miei piedi, morte, inermi. I loro occhi spalancati mi avrebbero seguita per sempre, nella memoria, nel ricordo.
Quella guerra sarebbe rimasta con me. Solo se fossi sopravvissuta.
Ma i vampiri non sembravano volermi uccidere. Anzi, al contrario, erano intenzionati ad attaccare Rowena. Impugnavano pistole d'argento o coltelli lucidi e staccavano teste, bucavano petti, tagliavano arti, strappavano via la carne dai corpi dei lupi, che uggiolavano.
Soltanto alcuni, per lo piú donne, tra i licantropi erano rimasti nella loro forma umana. Venivano protette dai loro amici, forse persino familiari.
Probabilmente, anche le guardie di Rowena avevano adottato il loro aspetto da lupo, per combattere: della loro forma umana non c'era traccia.
Ormai, i corridoi erano un insieme di esplosioni, spari, colpi e schizzi di sangue.
Nonostante tenessi il viso basso, riuscivo ad immaginarmi comunque la scena. Anzi, forse proprio perché non la vedevo questa sembrava ancora piú terribile.
Il Capitano non sembrava avere difficoltà nel coprirci le spalle.
Dopo alcuni passi, cominciai a sentire qualcosa toccarmi la mano, qualcosa di costante, che non poteva essere solo uno schizzo di sangue o qualcuno che mi sbatteva addosso: era un gesto volontario, una mano che mi sfiorava la pelle.
Sussultai e ritrassi velocemente la mano, guardandomi attorno, preoccupata.
Quando alzai la testa, Rowena era già avanzata di qualche passo, intenta ad uccidere un altro vampiro sulla sua strada.
Mi voltai, preoccupata.
Chi mi aveva toccata?
E vidi il viso terrorizzato di Sylver, gli occhi spalancati, che speravano che tutto questo finisse il prima possibile, possibilmente senza perdite troppo importanti. Erano gli stessi miei pensieri.
Il suo braccio era allungato verso di me, le sue dita sfioravano il dorso della mia mano.
Inconsapevolmente, mi rilassai, sentii i muscoli della schiena distendersi: era stata lei a toccarmi, non qualcuno che avrebbe potuto uccidermi.
Non avevo mai visto Sylver in quello stato: era sempre stata lei quella coraggiosa, non io. Lei aveva combattuto per me, si era quasi sacrificata per salvarmi. Ma ora no.
E il motivo della sua paura era che non sapeva nemmeno lei chi ce l'avrebbe fatta. Nemmeno lei aveva previsto un attacco del genere. Questo significava che Dimitri aveva programmato tutto da solo.
Dimitri l'aveva saputo, lo sapeva, conosceva ogni dettaglio di quel piano folle.
Mi aveva sorriso.
Troppo tardi, mi aveva detto.
Strinsi la mano della mia migliore amica.
Ce la faremo.
Strinsi piú forte la mano.
Ce la faremo.
Lo stavo ripetendo, peró, piú a me stessa che a lei.

"Lilith!".
Vidi tutto a rallentatore: il coltello si stava avvicinando a me, roteando. Nessuno avrebbe potuto fermarlo, il coltello era stato lanciato ad una velocità tale da rendere impossibile a chiunque la fermata di quell'arma.
L'urlo di Rowena rimbombava ancora tra le pareti del corridoio, mentre vedevo, riflessa sulla lama del coltello, l'immagine del viso di Rowena, sconvolta. Terrorizzata. Disperata. Finita.
Il coltello puntava dritto al mio cuore.
La testa mi pulsava. Sentivo il battito del cuore, il sangue pulsare, nel mio corpo. Mi mancava il fiato. Se non avessi avuto la mano di Sylver nella mia, sarei caduta all'istante.
E, poi, una figura veloce si pose tra me ed il coltello.
Un urlo. Rowena urló. Urló. E io la sentii. Riuscii a sentirla: non ero morta.

"Andate via!" urló la figura, davanti a me, forse rivolgendosi a noi, forse ai nemici davanti a sè.
Si voltó e spalancai gli occhi: davanti a me, colui che si era posto tra me ed il coltello, il Capitano mi esortava, con lo sguardo e con una smorfia di dolore, a seguire Rowena.
Con agonia, feci scendere lentamente lo sguardo sul suo completo elegante, stropicciato per la battaglia. Il colletto della camicia non era piú fuori dalla giacca, ma dentro. La giacca era aperta.
Mi coprii la bocca con una mano, per frenare l'urlo che avevo in gola: sul petto del Capitano, era conficcato il coltello d'argento, in prossimità del centro del petto. Dal coltello, sulla camicia bianca, fuoriusciva un rivolo di sangue scuro, che macchiava anche la superficie lucida della lama del coltello.
Il Capitano mi afferró per il braccio e mi spinse a fatica verso Rowena, il viso deformato dallo sforzo.
Normalmente, il Capitano avrebbe potuto facilmente spingermi dall'altra parte del corridoio, ma era ferito. Da un coltello.
Sbattei addosso a Rowena, portandomi dietro Sylver, che aveva ancora la mano legata alla mia, incapace di scioglierla.
Rowena mi afferró, ma non si mosse.

"Capitano!" urló.
Io lo vidi fulminare Rowena con lo sguardo. Non la stava sfidando, la stava solo esortando a portarci via di lí.

"Vi raggiungeró fra poco." assicuró, ma con voce stanca e sofferente.

"No!" gridó Rowena.
Dopodichè, non vidi nulla: la scena, attorno a noi, divenne sfocata, tutto scivolava attorno a noi. Era il segnale che Rowena stava correndo ad una velocità sovrannaturale, portando con sè me e Sylver.
Quando ci fermammo, mi ritrovai a rotolare sul pavimento. Non era duro come la pietra, ma non fu piacevole.
La testa sbattè e mi provocó un forte mal di testa.
Quando mi fermai, pensai di aver finalmente trovato un momento di tranquillità, in quel caos, dato anche il silenzio di quel posto, ma qualcuno finí subito sopra di me.
Aprii gli occhi, preoccupata ed allarmata. Dopo un lieve giramento di testa, riuscí a mettere a fuoco la figura sopra di me: Sylver era stesa sulla mia pancia, apparentemente gettata, anche lei come me, a terra.
Il suo peso mi schiacciava, quasi mi opprimeva i polmoni, impedendomi di respirare.
Ma riuscí a ricomporsi subito: dopo un attimo di confusione, in cui si alzó, tenendosi la testa con una mano, anche lei si guardó attorno.
Quando vide che si trovava sopra di me, spalancó gli occhi e si levó subito.

"Scusa!" gridó.
La sua voce era rauca, prossima al pianto.
Io riuscii finalmente a respirare. Presi alcuni respiri profondi, in cui cercai di far rallentare il battito del mio cuore.
Non c'è tempo, ricordai a me stessa.
Dove ci trovavamo? Nonostante il silenzio, era possibile che anche lí fossero nascosti dei nemici.
Tentai di rialzarmi, ma lo feci troppo velocemente e finii di nuovo a terra, con una mano sulla fronte.
"Lilith, siamo nella Sala degli allenamenti. Nessuno verrà mai a cercarci qui." mi rassicuró Sylver, accanto a me.
Il suo sguardo si posó accanto a me e capii perchè Sylver avesse considerato quella stanza come la piú sicura, come aveva detto anche Rowena: il tavolo su cui erano posate le armi disponeva di paletti e pistole d'argento, capaci di uccidere chiunque fosse riuscito ad entrare nella stanza. Nè i licantropi nè i vampiri erano cosí stupidi da rischiare di perdere la vita, uccisi nell'artiglieria del nemico.
Ma la porta si spalancó all'improvviso e sia io che Sylver ci voltammo di scatto verso la porta, che si stava lentamente richiudendo.
Il Capitano cadde a terra, sofferente, dolorante. Si strappó di dosso la giacca e tentó di sbottonarsi la camicia, ma a quel punto intervenne Rowena, che, preoccupata, gli afferró la camicia e gliela strappó.
Rowena era sul punto di piangere: i suoi occhi erano umidi, lucidi, pieni di terrore.

"Andrà tutto bene." mormoró, con la voce spezzata, all'orecchio del Capitano.
Il Capitano annuí lentamente, alzandosi sui gomiti e tentando di aiutare Rowena a levare la camicia.
Quando il tessuto sottile bianco della camicia venne sfilato dal petto del Capitano, questo si giró su un fianco, per aiutare Rowena a sfilargli anche le maniche della camicia e la parte che gli ricopriva la schiena. Il Capitano mi stava dando le spalle.
E, in quel momento, vidi, finalmente, il significato dei triangoli neri, che spuntavano dal collo di tutte le guardie, sotto ai vestiti.

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