Avevo riempito gli scaffali

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Avevo riempito gli scaffali della cucina con tisane, caffè e quant'altro per i miei spuntini notturni, e per le mie pause tè. Che potevano capitare alle cinque del pomeriggio come alle cinque di mattina, che fosse ben chiaro.

Dopo cena. Avevo mangiato un po' più del solito, e il mio stomaco non aveva gradito. Il bollitore sul fuoco. Uscii di cucina pensando 'almeno ci ho provato', come se mi avesse già detto di no.

<<Ti va un tè?>>, chiesi, dubbiosa, affacciandomi in salotto con la camicia da notte, unico rimedio al caldo di quell'appartamento.

Mi dava la schiena, seduto di fronte alla vetrata. La luce della luna diventava bluastra al contatto con la neve. Lavorava sul pc e forse l'avevo disturbato. <<No, grazie>>, rispose.

<<Un caffè?>>, ritentai.

Scosse la testa. Ero già pronta a tornare in cucina da sola, ma mi passai una mano dove si era abbattuta la spallata di Woody. <<Una tisana al lampone?>>.

Silenzio.

<<Sì, grazie. Puoi portarmela?>>, domandò.

Ne sorrisi, con una punta di soddisfazione per quella richiesta.

Tornai in sala con due tazze e gli porsi la sua. Si tolse il pc dalle gambe e mi ringraziò. Mi accoccolai sull'altra parte del divano, la curva di esse bianca che dava verso la televisione, accesa ma senza suono. Cominciai a fare zapping mentre Neri beveva la sua tisana. Anch'io mi godevo il caldo nello stomaco affaticato.

Intercettavo Neri nel mio campo visivo. Era ciò che normalmente si descrive come bello, ma sembrava diverso. Tenevo le gambe distese verso di lui e la tazza fra le mani. Facevamo entrambi finta di non osservarci. Una fatica enorme.

Avevo frequentato ragazzi, e conosciuto persone affascinanti, eppure Neri era al di fuori di qualsiasi mia portata. Lo ammiravo così come si ammira il cielo, troppo lontano, o un quadro antico, troppo fragile. La piega immobile delle labbra, il suo punto forte. Non sorrideva quasi mai. Il collo lungo e la barba appena visibile, come ombretto sugli occhi di una donna. I suoi occhi perennemente neri, senza alcuna sfumatura di colore. Un miraggio, impossibile da afferrare. Sapevo che non mi sarebbe mai stato possibile, e per questo non ne ero attratta. Amavo ancora giocare facile.

<<Mi piace il ranocchio>>, disse mentre continuava a battere con le dita sul computer, e mentre io connettevo.

<<Vero?>>, chiesi ingollando un sorso. <<Hai visto i vestiti che ho comprato?>>.

<<Non tutti. Ho fatto caso solo al golf, perché la porta era aperta. Lasci sempre tutto spalancato?>>.

<<E tu tutto chiuso? Non sono ancora riuscita a vedere la tua camera>>, ribattei d'impulso. Forse non era la miglior risposta che il cervello mi potesse suggerire, ma speravo che la smettesse di provocarmi.

Mi sbagliavo.

Si voltò verso di me, prendendo la tazza da terra, e sorseggiando il contenuto. <<Hai ragione, forse dovrei invitarti dentro>>.

Caldo. Faceva caldo.

<<Abbiamo fatto passi avanti da ieri>>, ribattei glaciale.

Continuò a sorseggiare la sua tisana al lampone, e provò ad attaccarmi da un altro lato della mia fortezza. <<Come fai a dormire con la porta aperta?>>, chiese mentre ci fissavamo.

Tenevo la tazza tra le mani. <<Figurati. Pensa che faccio persino la pipì con la porta del bagno spalancata>>, e risi.

Sgranò gli occhi.

Quando io non sognoDove le storie prendono vita. Scoprilo ora