Nina

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L'aria della metro di Londra le arrivò sul viso, un'ondata di aria cupa e chiusa delle gallerie sotterranee.

La notò.

Ne notò la consistenza mentre i capelli scivolavano sulla guancia, fino all'orecchio, dove li incastrò.

Fu l'ultimo suo gesto, in quel pomeriggio, perché un attimo più tardi notò un cattivo odore, poi un cattivo suono, infine un cattivo presagio.

La vista le si annebbiò, e cadde.

Shaun la riprese appena in tempo, prima che sbattesse malamente sul marciapiede dei treni.

Qualcuno li notò, e fu chiamata un'ambulanza. Nina non accennava a riprendere i sensi.

La portarono al primo ospedale delle vicinanze. Shaun le teneva stretta la mano, negava quando gli chiedevano chi fosse, se era il suo ragazzo.

I problemi iniziarono già dall'accettazione, quando gli posero alcune domande sulla ragazza che portava in barella, e non seppe rispondere.

Chi era?

Il suo cognome?

Da dove veniva?

Era sana?

Shaun non sapeva nulla.

Chiamò Kirsten, la sua ragazza, come se una donna in più potesse risolvere i problemi della prima.

Aveva accettato i suoi soldi, questo spiegò.

Un attimo prima dello svenimento stavano per salutarsi.

Nina avrebbe ripreso la metro fino all'aeroporto, e sarebbe uscita dalla sua vita così come c'era entrata. In fretta.

Le fecero comunque le analisi del sangue, i controlli di routine per scovare la droga. Visto che c'erano, tanto per non lasciare nulla d'intentato.

Quando fu in grado di alzarsi, le misero in mano una boccetta e le indicarono il bagno. Nina la riempii senza fiatare, per tre motivi molto semplici.

Primo, aveva il terrore che avvertissero i genitori o molto, molto peggio, qualcuno che alloggiava ancora al Phoenix Hotel, a Bayswater, con il naso rotto e una nuova ragazza.

Secondo, sperava che quell'esame desse risultato negativo.

Terzo, sapeva che, in vita sua, ogni cosa sperata con quella intensità non si era mai avverata.

Le trovarono negativi solo gli esami tossicologici.

Per il resto, positiva, e incinta.

Rimase fino alla sera barricata nella sua cameretta privata, che si era pagata con gli ultimi soldi trafugati dal cassetto di Damiano. Pensò a varie opzioni, in maniera sempre più ricorrente al suicidio, in modi indolori e poi cruenti, poi alla fuga alle Hawaii, dove avrebbe abitato la vecchia casa di sua nonna e cresciuto il bastardo che aveva in grembo.

Eppure, lo sentiva dentro ogni sua fibra, attaccato alla poca vita sana che aveva condotto nelle ultime settimane, un piccolo nugolo di cellule con un cuore che già batteva.

Raschiò più volte il fondo, cercando nella borsa il cellulare, per chiamare Damiano dall'altra parte della città, e dirgli abbiamo un figlio.

Sono incinta. Avremo un bambino.

Quello che ho passato in due anni con lui era la realtà, oppure una rappresentazione distorta di quello che desideravo di più?

Vivere le era insopportabile.

Dopo dodici ore di piantonamento della sua porta, senza che Nina permettesse a chicchessia di entrare, Shaun compose il numero della sua ragazza, e la inviò in quella camera come un quarto di manzo nella gabbia di un leone. Stette in ascolto, l'orecchio attaccato alla porta bianca.

Quando io non sognoDove le storie prendono vita. Scoprilo ora