Non ne avevamo più parlato

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Non ne avevamo più parlato.

Non che non ci pensassi, o che non mi fossi già pentita di aver fatto la parte della squilibrata mentale, ma qualcosa mi teneva la mente occupata, e facevo finta di essermene dimenticata. Non potevo certo presentarmi di nuovo nel suo bagno, lavarmici i denti e dire, ah già, ti ricordi di quando hai promesso che mi avresti trovato un posto per urlare...

Non suonava bene, in ogni caso.

Continuava la colla tra me e Neri, vischiosa e insistente, che ci trascinava accanto a cena, accanto sul divano ad esse, accanto a sua nonna che ci preparava il caffè la mattina presto, accanto quando se ne andava a lavoro, e accanto quando lo beccavo perso con lo sguardo oltre la vetrata del salotto.

Continuava la colla che stendevo su ogni muro, su qualsiasi superficie trovassi libera, per trattenermi lontana da lui, lontana dai capelli rasati che aveva iniziato a farsi crescere, lontana dalle sue risate al telefono con Cristina, lontana dalla curva del suo collo quando era troppo stanco per continuare a disegnare, e si addormentava con la testa sulla scrivania.

Ce lo trovai accasciato per l’appunto qualche ora dopo la telefonata imbarazzante con Malena, il venerdì sera. Il cellulare giaceva qualche centimetro più in là del suo naso, con un messaggio a metà, forse per Cristina.

<<Ma che strano>>.

Gli presi con forza un braccio, per svegliarlo e accompagnarlo per lo meno sul letto. Non potevo lasciarlo lì e farlo morire di cervicale.

Non gradì. Borbottò qualcosa nel sonno, ma quando lo strattonai con più forza, si inclinò sulla sedia e si accasciò per terra, trascinandomi con lui sul pavimento di legno. Si svegliò completamente, senza accorgersi che mi schiacciava con forza sotto di sé. Alzò un attimo lo sguardo, come per chiedersi cosa stesse succedendo, e evidentemente lo trovò troppo comico per resistere.

Successe una cosa meravigliosa.

Iniziò a ridere. A ridere a crepapelle, come mai lo avevo sentito fare, senza ritegno, continuando a premere sul mio petto con la forza della sua stessa risata.

<<Sei matto?>>, chiesi dapprima seria, ma era irresistibile, l’odore del caldo che arrivava per via del suo sonno rotto, e la sua risata inconcludente e stupida. Iniziai a ridere, per lo stesso principio per cui si ride se si vede ridere, e si piange se si vede piangere. Le lacrime gli rigavano già le guance, mentre notavo quanto fosse ancora più bello, e più irraggiungibile, nonostante fossimo pelle contro pelle. C’era differenza tra il Neri costantemente serio, e quello che avevo lì adesso. E la differenza stava proprio nella sua risata, così stupenda perché così rara.

<<Non respiro, non respiro...>>, ripeteva tra un attacco di risa e l’altra, finché riuscii a spingerlo giù dalle mie gambe e farlo rotolare su un fianco con la testa vicina alla porta. Si calmò dopo un quarto d’ora buono, e lo aiutai ad alzarsi e mettersi a letto, rintronato per il sonno e per il troppo ridere.

Continuavo a ridacchiare. Era già sotto le coperte, quando mi chiamò in camera sua.

<<Nina>>, la voce mi arrivò dal corridoio, mentre mettevo in ordine la cucina dopo lo spuntino che mi ero fatta prima di andare a dormire.

<<Sì>>.

<<Pensavo...>>.

<<Cosa?>>. Non ne vedevo il viso, nascosto sotto il piumone. Credevo stesse per rifilarmi un’altra cazzata per farmi ricominciare a ridere.

<<E’ bello>>, disse.

<<Cosa?>>, ripetei. Non notai la sua voce seria.

Quando io non sognoDove le storie prendono vita. Scoprilo ora