Lo volevo e non lo volevo

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Lo volevo e non lo volevo.

A tratti semplicemente lo esigevo.

Lo vedevo ovunque, anche quando ero certa che fosse a Selva, a ticchettare sul suo pc al Fluid Design Lab. Me lo sentivo alle spalle mentre tagliavo le torte, ne risentivo la voce mentre porgevo i caffè sul bancone, e quel bancone...

Chiudevo gli occhi durante le mie pause pomeridiane, distesa sul letto per dare sollievo alle gambe, strizzavo sopracciglia e ricordi per tirarne fuori nuovamente quella sua espressione.

Avresti dovuto smetterla... di guardarmi a quel modo.

Ero stata così ovvia? Così tanto con lui, e così poco con me stessa?

Ad ogni modo, dopo otto mesi di totale indifferenza verso le persone che mi circondavano, Neri era riuscito a intromettersi, a crearsi un buco sotto la mia pelle. Gliene ero grata.

E per quanto avessi più buoni motivi per non ammetterlo, per quanto sapessi che fosse sbagliato sentire di nuovo qualcosa, anche se non capivo esattamente cosa, Neri l’aveva intuito, prima di me, prima del mio orgoglio.

Ne ero persa.

Persa completamente dentro di lui, non dentro la mia idealizzazione di un pensiero, ma dentro ciò che lui era.

Non aveva mai fatto alcunché per piacermi. Si era limitato a vivere come sempre aveva fatto, ancor prima che io arrivassi nel suo appartamento. Era stato molto più se stesso di quanto non avessi cercato di fare io con lui. Si era limitato a presentarsi, vivere, e farmi sorridere.

Tentavo di limitarmi, nonostante il mio stomaco fosse in continua combutta con i miei sbalzi di autostima. Non avevo niente di precedente con cui rapportarlo, e mi disperavo. Con Damiano era stato diverso, opposto, sin dal primo istante. Come una siringa di eroina dritta in vena, la prima volta in cui l’avevo visto, come se fossi diventata dipendente in una sola notte.

Ma con Neri...

Non sognavo da mesi, eppure, ero convinta di trascinarmi in un incubo, ogni singolo momento della mia giornata.

Ero cosciente di essermi voluta avventurare dentro un labirinto. Ed ora ero persa.

Nonostante sapessi che aveva ventun anni, che era vergine...vergine!, e che non c’era alcun modo per farmi volere.

Perché io lo volevo, senza scampo.

Le ore non si trascinavano più, ma correvano. Usavo ogni stratagemma per distrarmi e aspettarlo: la porta che si apriva, il suo viso nella porta di legno, il suo solito “ehi” e il suo sorriso assente.

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Cominciò a nevicare il lunedì, e continuò per l’intera settimana. Il tempo atmosferico seguiva le tormente dentro la mia testa, tempeste di neve e ghiaccio per la nuova seducente sensazione di attesa.

Eppure, c’era un eppure.

Enormi ragionamenti logici e consequenziali, schiaffi immaginati di Malena che tentavano di riportarmi alla realtà, quando la fantasia m’impazziva e nella mia testa Neri non si prendeva solo quel cioccolatino, ma si prendeva ciò che poteva, ciò che non voleva. Si prendeva la mia testa tra le mani e mi baciava.

Il martedì dopo quel cioccolatino, camminavo avanti e indietro con la porta di camera chiusa, cosa che sicuramente Neri aveva notato, anche se non osava aprirla. Mi sedevo sul letto, andavo alla vetrata e guardavo distrattamente tra i fiocchi di neve che scendevano rabbiosamente. Tornavo sul letto, prendevo un libro, lo sfogliavo, non avevo concentrazione per leggere.

Quando io non sognoDove le storie prendono vita. Scoprilo ora