11. La Grande Tavola

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Un ragazzo giovane, l'aria smarrita e la fronte sudata, si affrettava a salire una grande scalinata, accedendo a una villa che ostentava un gusto rinascimentale. Tutto attorno un giardino verde e immenso e fiori di varie specie, alcuni di colori molto vivaci, arricchivano l'ambiente rendendolo alquanto gradevole. L'uomo camminava a passo spedito, ignorando chiunque incrociasse il suo passo. Oltrepassò una grande sala, salì un'altra rampa di scale e si addentrò nel cuore della casa, attraversando un lungo terrazzo che dava su un chiostro interno. Aprì un'altra porta e subito incrociò lo sguardo di un altro uomo, di sicuro una guardia di sicurezza, le mani strette l'una all'altra. Nella stanza dominava il silenzio e in un angolo, davanti a una finestra illuminata da un sole quasi accecante, c'erano due grandi poltrone di pelle e, seduti su di esse, due uomini vestiti per bene, fumavano dei sigari. Il fumo avevano impregnato persino le pareti. Dall'età, che si aggirava attorno ai settanta, era chiaro che fossero padroni di tutto quel posto. O almeno uno di loro.

Il ragazzo si avvicinò a loro. «Vincenzo, che cosa ti porta qui?», chiese l'uomo dallo sguardo più serio. «Signore, a seguito della scomunica ufficiale di John Wick, la somma della taglia è stata raddoppiata». L'uomo buttò fuori una grande nuvola di fumo senza dare la minima importanza all'informazione appena sentita, come fosse una cosa del tutto normale. «E il nostro interno? A che punto è?», chiese l'altro uomo, con tono quasi infastidito. «È al corrente di tutto. L'abbiamo già avvisata. Ha reclutato delle persone per assicurarsi che il bersaglio rimanga al sicuro. Dice che porterà a termine la missione molto presto». L'uomo dallo sguardo serio fece cenno al ragazzo di uscire, poi si alzò in piedi, facendosi più vicino alla finestra. «Presto avrò onorato la morte dei miei nipoti Santino e Gianna e tu avrai la tua vendetta, Salvatore». L'uomo seduto lo guardò, il volto provato dal dolore che ancora provava per la morte del figlio, ma soprattutto per non aver potuto ammazzare con le sue mani l'assassino quando ne aveva avuto l'occasione. Ogni giorno ripensava a quel momento: stringeva la pistola, la puntava dritto in fronte all'assassino, ma quando aveva premuto il grilletto, Carmine lo aveva fermato, deviando un colpo che sarebbe di sicuro stato mortale. «Ancora non capisco perché mi hai fermato. Doveva morire quel giorno. È solo una mina vagante e ci tradirà appena ne avrà occasione. Tu non l'hai guardata negli occhi come l'ho guardata io... non hai visto che cosa mi hanno detto i suoi occhi!», sbottò Salvatore, tossendo forte. Il tumore al fegato non rispondeva alle cure. Sapeva di avere poco tempo ma prima di morire voleva la sua vendetta. «Potrei morire anche stanotte e non aver vendicato mio figlio. Dovevi lasciarmi fare a modo mio, Carmine! Ora sei tu a capo della Gran Tavola, ma quello che hanno fatto a mio figlio...».
«Tuo figlio sarà vendicato e la nostra organizzazione sotto il mio comando avrà tutto un altro aspetto. Abbiamo avuto fin troppe perdite nella nostra famiglia. È ora che si sporchi le mani qualcun altro e sarà lei a farlo». Carmine tornò a guardare fuori dalla finestra. Fiero e austero. Gli occhi fissi verso l'immenso giardino. Salvatore si alzò e si fece vicino. «Perdona il mio sfogo. Era il mio unico figlio, non è facile per me e mia moglie», disse chinando il capo. Carmine in quel momento si voltò e gli mise una mano sulla spalla. «Vai da tua moglie. Stai con lei. E fidati di me». Fece un cenno alla guardia ed entrambi uscirono, lasciandolo solo in quella stanza. Carmine sapeva quello che faceva e sapeva anche che il loro interno avrebbe fatto di tutto pur di portare a termine il piano. Era stato molto scrupoloso nello stipulare il loro accordo. Tutto doveva andare secondo quanto programmato, perché se così non fosse stato, sarebbe accaduto l'inimmaginabile e nessuno voleva che accadesse. Nessuno.


John Wick - In Omnia ParatusDove le storie prendono vita. Scoprilo ora