17. Roma

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L'acqua gelata che le lanciarono addosso fu un brusco risveglio. Il dolore riaffiorò forte e lampante. Il corpo era pieno di graffi e lividi. Il respiro corto e veloce, come fosse ormai uno dei suoi ultimi. I capelli fradici le coprivano parte del viso, faceva fatica a mettere a fuoco le immagini e l'ambiente attorno a sé. Sapeva che i principali membri della Gran Tavola la stavano circondando, affiancati dalle loro fedeli guardie del corpo armate e pronte a sparare a un loro singolo ordine. Qualcuno parlava, ma Serafina non sentiva bene le parole. Vedeva solo qualcosa di metallico proprio davanti al suo viso. Nella mente si muoveva agile, sparava a quell'ombra e scappava lontano, salvandosi. Ma nella realtà, invece, il corpo era paralizzato dal dolore e probabilmente pochi secondi la dividevano dalla sua morte. All'improvviso si sentì sollevare e si ritrovò a contatto con una superficie morbida che profumava di lavanda. Un rumore di accensione, le curve della strada, dei lampioni. Era evidente che l'avessero caricata in un'auto. "Perché non mi hanno ucciso? Dove mi stanno portando?", pensò terrorizzata.
E rapita da quelle domande, consapevole di non avere la forza di reagire, chiuse gli occhi e si abbandonò al suo destino, sapendo però una cosa per certa: non la volevano morta, non ancora.

«Che ore sono?», chiese Serafina mentre si osservava attorno, stranita. Un uomo vestito con dei jeans, una t-shirt bianca e una giacca di pelle la fissava masticando nervosamente una gomma, la pistola stretta nella mano destra. Una porta si aprì all'improvviso e davanti a lei apparvero due uomini di circa settant'anni, accompagnati da quattro guardie del corpo. Serafina era legata a una sedia, incapace di muoversi, e alla vista di quelle persone si pentì che non l'avessero uccisa subito. Uno dei due uomini la fissava con disgusto, come fosse un avanzo di cibo marcio. Serafina li fissava perplessa, ma più lo faceva, più i ricordi si facevano strada nella sua mente. Camminava lungo le strade di New York. Era sera tardi e stava raggiungendo l'appartamento che occupava abusivamente per poter assemblare il suo arsenale e proseguire con il suo piano, quando aveva capito di essere seguita. Nel tentativo di seminare i due uomini che aveva individuato come inseguitori, ignorò quelli appostati in un angolo, pronti ad aggredirla. In un istante si ritrovò con il viso coperto e le mani legate, poi un pugno la fece svenire. Quando si era svegliata, si era subito ribellata e il brutale pestaggio era iniziato, ma poi qualcuno aveva ordinato loro di fermarsi.

«Serafina. Veronica. Come devo chiamarti?». L'uomo dall'aria spavalda e sicura di sé, le sorrise e la invitò a rispondere. La ragazza indugiò, ma non fece in tempo a replicare che l'altro uomo intervenne, colmo di rabbia. «Assassina! È questo il suo nome! Hai ucciso mio figlio, Giuseppe! Il mio unico figlio, bastarda!». L'uomo fece qualche passo avanti, reggendosi al suo bastone, ma fu messo subito da parte dalle guardie del corpo che lo calmarono, portandolo in un angolo della stanza. «Dovevi farmela uccidere! Merita solo di morire!». Con un semplice gesto della mano da parte dell'uomo dall'aspetto inflessibile, calò il silenzio.
«Dove sono?», chiese Serafina. Finalmente aveva trovato il coraggio di parlare.
«Sei a Roma. Sei nella mia dimora. Io sono Carmine D'Antonio, a capo della Gran Tavola. E ti suggerisco di portarci il dovuto rispetto. Hai commesso un peccato imperdonabile, ma pare che abbiamo un bersaglio in comune». Serafina aggrottò la fronte, non riusciva a capire cosa volesse dire.

«Che intendi?».
«Vedi, Veronica... anzi, credo tu voglia essere chiamata Serafina... I miei uomini hanno trovato il tuo borsone. Pensavamo di trovare qualche arma e del denaro e invece...». Fece cenno a una guardia del corpo che gli consegnò delle cartelle. Carmine le fissò compiaciuto, poi le gettò ai piedi di Serafina. «È incredibile quanto materiale ci sia su John Wick. Sono rimasto sbalordito. Non ho mai visto tanta efficienza nei dettagli delle informazioni, ma soprattutto ho percepito quanto sia il tuo astio nei suoi confronti». Serafina lo osservava in silenzio, aveva capito che di lì a poco, avrebbe avanzato una proposta. 
«Maksimilian Patrovich era il tuo capo, giusto?»
«È stato un capo ma prima di tutto un padre. Mi ha tolto dalla strada e dato una nuova vita, un nuovo nome, una nuova identità. Voglio vendicare la sua morte. Lasciatemi andare!», e si infuriò, provando a liberarsi sotto gli occhi divertiti di tutto loro. «Stai morendo dalla voglia di sapere perché sei ancora viva, non è vero?». A quelle parole, Serafina si arrestò di colpo. Aveva tutta la sua attenzione. Carmine si voltò dicendo qualcosa che Serafina non capì, e di scatto uscirono tutti. Solo l'uomo nell'angolo era rimasto con loro. Entrambi si fecero più vicini a lei che li fissava curiosa e terrorizzata al tempo stesso. «John Wick ha ucciso i miei nipoti, Gianna e Santino. Ma tu hai ucciso l'unico figlio di mio cugino. Giuseppe era tutta la sua vita. Vedi, noi vogliamo John Wick morto e anche tu sei nella nostra lista, ma...». Esitò qualche istante, abbassando lo sguardo come se stesse cercando le parole giuste. «Il tuo desiderio di uccidere il signor Wick è veramente forte, lo percepisco molto bene. Faresti qualsiasi cosa pur di portare a termine la tua missione e anche se tutti volevano che ti piantassi un proiettile in testa, ho deciso di darti una chance, ma a una condizione». Il suo tono era cortese, ma era chiaro che quella non fosse una proposta ma un ordine. 
«Quale condizione?».
«Ucciderai John Wick per noi. Entrambi otteniamo ciò che vogliamo, ma devi farlo in pubblico. Dobbiamo avere la prova che sarai tu a farlo».
«E una volta ucciso John Wick... sarò libera?». 
«Ti lasceremo vivere, ma sarai per sempre bandita da ogni luogo in cui abbiamo potere e questo limita molto le tue scelte, ma concorderai con me che non hai alternative». Serafina non aveva davvero scelta. Sapeva che ogni parola aveva un determinato peso, persino ogni suo respiro. Cercò di calmare l'agitazione che abitava il suo corpo da un tempo ormai indefinito, poi alzò lo sguardo verso entrambi. «Va bene, ucciderò John Wick in cambio della mia libertà».

John Wick - In Omnia ParatusDove le storie prendono vita. Scoprilo ora