Dal migliore al peggiore (I)

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[ sherlock (BBC). ]

14 Luglio

Slaccio ripetutamente il nodo alla cravatta, che Mycroft continua meccanicamente annodare.

"È il giorno più bello della tua vita, Sherlock, fatti coraggio.
Sposerai l'uomo della tua vita.
Sposerai John, l'unico uomo che tu abbia mai amato."

Continuo a ripetermi queste parole, sono ormai un mantra per me.

«Tocca a te, fai la tua entrata trionfale!» mi dice Myc, da dietro di me.

Apro la porta che mi divide dal salone delle cerimonie del Municipio e lo vedo lì, con uno smoking blu regalato da Mrs Hudson, lì che si guarda in giro per vedere se ci sono.

Sento un dolore alla tempia.

È da ormai un po' di giorni che va avanti, ma non l'ho detto a John. Non voglio che si preoccupi per un po' di mal di testa.

Mi siedo un attimo e chiedo un bicchiere d'acqua a Mycroft, che non ha smesso di guardarmi tutto il tempo con aria preoccupata.

Lo appoggia sul tavolino che ho di fronte. Dopo averlo ringraziato allungo il braccio destro per prendere l'oggetto. Un formicolio si allunga sul mio arto.

"È successo solo nella tua testa. Non è reale." mi dico.

Artiglio con presa ferrea il contenitore di vetro, ma nel portarlo alla bocca lo faccio cadere. Noto che non ho sentito che la mia mano lasciava la presa.

Non ho avuto il controllo di una parte del mio corpo.

"Ansia", mi dico. Non c'è altra spiegazione. O forse c'è, ma sono troppo testardo e codardo per a metterla.

"Il male degli Holmes". Ecco la spiegazione. Nel nostro albero genealogico molti erano stati affetti da questo male, il male che portava alla morte.

«Sherlock, hai detto a John che potresti avere...» inizia a dire Mycroft, per poi fermarsi. Nello stanzone era entrata Rosie, naturalmente in braccio a John.

«Prego, Mycroft, vada avanti!» lo esorta il biondo.

«...che potresti avere bisogno di ancora cinque minuti? Guarda, ti sei pure tutto spettinato!» conclude mio fratello, in modo alquanto teatrale. Fin troppo teatrale per i miei gusti, ma John sembra non notarlo.

Con un gesto della mano rimetto i capelli allo stato originale, e Myc mi riannoda la cravatta.

«Sono pronto. Andiamo.» dico solo. La mia mente è ancora affollata di domande, ma non dovrei farci caso. Di qui a due giorni sarei andato a fare una visita nella clinica privata di fiducia della nostra famiglia, così ne avrei avuto conferma.

Entriamo nella sala a braccetto e tutti ci guardano stupiti, mentre noi avanziamo senza distruggere quella melodia che si è creata fra i nostri passi ed i battiti dei nostri cuori, che battono ormai perfettamente all'unisono.

A cerimonia finita decidiamo di andare a cenare da Angelo, siccome altrimenti non sarebbe riuscito a partecipare al party.

Finita anche la cena ci dirigiamo, su un taxi, verso Baker Street. Posiamo una Rosie già addormentata nel lettino ed andiamo a dormire nella mia camera da letto.

Alla mattina mi sveglio per primo, siccome devo andare alla clinica e non voglio ricevere domande. Myc ha detto a John che starò con lui per qualche faccenda familiare, per non farlo insospettire troppo.

In men che non si dica arrivo alla clinica, dove si sente un silenzio assordante. Non una mosca vola su quella costruzione. Ad un certo punto sento le mie orecchie iniziare a fischiare, e salire sempre più di intensità. Poi si avvicina a me una donna, che dice di chiamarsi Clary... Clarissa Frey, sento dei vetri infrangersi nella mia mente e, mattone dopo mattone, il mio palazzo mentale sgretolarsi per poi cadere nelle più basse cavità della mia mente.

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