1. −62° 40′ 46″

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-𝑷𝒓𝒐𝒙𝒊𝒎𝒂 𝑪𝒆𝒏𝒕𝒂𝒖𝒓𝒊

Era sera tardi e nel quartiere di Hongdae, l'aria era illuminata dalla luce artificiale dei lampioni e da quella più delicata degli astri celesti.

Jungkook sistemó la sedia, come d'abitudine, vicino alla finestra aperta che dava sulla strada troppo buia; eccitato al solo pensiero di rimirare il cielo per tutto il tempo che voleva. Si affacció, l'aria calda gli lusingó la pelle chiara e gli scostó le ciocche nere dagli occhi.

Trascinó il telescopio accanto alla sedia, aggiustó i parametri con gesti sicuri e veloci, fece scivolare, inconsapevolmente, le dita sullo strumento di metallo, accarezzandolo quasi fosse un amante furioso, insaziabile e disperato, che in quel momento, nell'oscurità pregna dei mostri e delle anime stanche del suo quartiere, gli permetteva di vedere l'unica luce che contava: le stelle.

Jeon Jungkook aveva sempre avuto una passione smisurata per le stelle.
Forse perchè erano piccole e lontane, e Jungkook si era sempre sentito piccolo nei confronti delle persone che lo circondavano.
Si era sempre sentito diverso, fragile, lontano dal resto di quella caoticità perenne e troppo rumorosa, che gli umani chiamavano vita.

A Jungkook piaceva il silenzio e le stelle erano silenziose. Amava avere i pensieri in ordine e incasellati, ad ogni topois il suo preciso cassetto, impaurito che, al rumore di una porta sbattuta con troppa violenza, il castello di carte formato dai suoi pensieri impostati potesse cadere e infrangersi in mille pezzi, e con esso, anche lo stesso Jungkook.

Anche se, nel silenzio più tombale - quello che si sente solo in un cimitero pieno di morti e coperti di neve -, perfino gli astri celesti riuscivano a creare una perfetta sinfonia, in cui le note, erano la meraviglia e il più completo assortimento di chi le guardava sbigottito.

Jungkook si sedette e si avvicinó al telescopio, inclinandolo della giusta angolazione, prima di guardare attraverso l'oculare.

Il moro si ritrovó a pensare, per l'ennesima volta, quanto quello spettacolo di fuochi d'artificio e bianchi pallori, riuscisse a calmare le sue membra stanche, dopo un'intera giornata dedita a risolvere algoritmi e impartire ripetizioni a dei sedicenni svogliati.

Cercó con lo sguardo la sue stella preferita: la Proxima Centauri.
La Proxima Centauri faceva parte della costellazione del Centauro, e Jungkook l'aveva scelta proprio perchè la meno luminosa.
Il ventunenne si sentiva così, uno spirito banale e poco interessante, a stretto contatto con altri migliaia di volti, tutti più luccicanti di lui.

Ma il suo profondo narcisismo emergeva proprio in quella scelta, che la Proxima Centauri era una nana rossa, una stella di poca importanza, al pari di una margherita in un campo di rose, ma era anche il corpo celeste più vicino al Sole, e tale, da egocentrico qual era, Jungkook sperava che il mondo esterno si accorgesse di lui, riversandogli addosso tutti quei mancati riflettori, di cui non aveva mai goduto in vita sua.

Il moro si sentiva come un pastore errante, con gli occhi sempre puntati verso il cielo, come alla ricerca di una risposta, di una spiegazione che bramava, desideroso di comprendere come funzionasse il cosmo, secondo quali leggi era stata impartita la vita, scettico nel credere che esistesse qualcosa di più grande a dirigere l'universo e stringere i fili delle marionette che popolavano la terra.

Jungkook guardava il cielo, un po' per perdersi, un po' per meravigliarsi e un po' per comprendere.

Ma quel splendido incanto fatto di quiete e ombre, venne interrotto da uno dei suoni più agonizzanti e struggenti che il moro avesse mai sentito.

Una melodia che non era degna di essere chiamata tale, che l'unica traccia di armonia che vi si poteva scorgere, erano forse i battiti del cuore del violinista pazzo della porta accanto. Ma questo a Jungkook, non era dato saperlo. Il ventunenne non era esperto di musica, ma riusciva a decifrare sotto il baccano dei suoi pensieri, che quel povero strumento maltrattato era, senza dubbio, un violino.

Le note continuavano, disperate e strepitanti, che se la musica era fatta per accarezzare l'udito, quelle erano fatte per frastornare il cuore. Una sinfonia di dolore e aperto rimorso, una paura becera e soffocante, che asfissiava non solo chi suonava, ma anche chi ascoltava.

Il moro si tappó le orecchie con le mani, provando, banalmente, a impedire a quel suono malato di raggiungerlo e annegarlo. Ma era tutto inutile.

Non ce la faceva più. Il candido silenzio che Jungkook si meritava, dopo una giornata infernale come quella, era stato interrotto da un'idiota che non aveva rispetto altrui. Non aveva idea di chi potesse essere, che gli unici abitanti di quel condominio malandato, erano lui stesso, un ragazzo troppo tatuato di nome Seokjin, e una coppia di vecchi signori.

Fosse una melodia rilassante, pensó Jungkook.

Perció si alzò, incespicando sul treppiede e sulla sedia, aprì la porta della sua camera da letto solo per fiondarsi su quella d'ingresso e uscire sul pianerottolo.

Se possibile, lo sconforto indotto da quelle note aspre e secche era ancora più udibile.

Jungkook si buttó sulla porta del suo vicino, bussando senza ritegno, in modo da far prevaricare il suo rumore a quello dello strumento.
Qualche attimo dopo, la porta venne aperta, e Seokjin, rivestito di scuri tatuaggi con tanto di piercing al labbro, si presentó all'ingresso, con un'espressione più colpevole che scocciata.

- Ho provato a dirgli di smetterla, mi dispiace se ti abbiamo disturbato - disse l'uomo dai capelli corvini. Non un ciao, o un qualsiasi altro tipo di approccio, Seokjin era un tipo spiccio, che non si perdeva in inutili convenevoli, o almeno era quello che Jungkook era riuscito a carpire in un anno di mezzo, in cui l'unica informazione certa che sapeva sul suo vicino era il suo nome.

- Oh - riuscì a dire il moro. Ma di chi parlava Seokjin? Da quando viveva lì, Jungkook lo aveva sempre visto da solo, non abitava con altre persone e di questo era più che certo.

- Aspetta che te lo presento. Non mi prenderó la colpa per lui, puó starne certo - il corvino si giró e scomparve dalla visuale del ragazzo, rimasto sulla soglia, con lo sguardo che vagava sul disordine incessante del salotto. Lui non sarebbe mai riuscito a vivere in un ambiente del genere.

Seokjin riemerse e alle sue spalle, la figura più esile di un ragazzo.

- Jungkook, ti presento Taehyung, mio fratello -

Jungkook avrebbe voluto spalancare la bocca, di fronte a cotanta bellezza, alla vista di Taehyung. Si impose di non farlo, per non fare la figura dello stupido, e si limitó a lambire con lo sguardo i lineamenti morbidi e taglienti del ragazzo di fronte a lui.

Taehyung aveva i capelli di un argento così luminoso, che gli ricordava vagamente la luce flebile delle sue amate stelle. Gli occhi, profondi e scuri, erano contornati da corolle di ciglia scurissime, che impreziosivano uno sguardo duro e accattivante, in perfetto contrasto con la linea morbida della bocca, rossa come fiori di ciliegio.
Chissà per quale assurdo motivo, Jungkook riuscì a ricollegare perfettamente l'immagine del ragazzo di fronte a lui, a quella di un violinista pazzo, intento a massacrare le corde del violino con il suo archetto. Sembrava che quelle mani avessero stretto più archetti e violini che corpi di amanti e pelle calda.

- Piacere, sono Taehyung - mormoró il più piccolo, porgendo la mano al moro. Jungkook la strinse debolmente, quasi spaventato da un possibile contatto.

- Ti chiedo scusa, davvero. Non era mia intenzione disturbarti - proseguì l'argenteo, con uno sguardo rammaricato a deturpargli il bel viso.

Jungkook, che non era di troppe parole, annuì semplicemente, frastornato dall'aurea gentile e cordiale di Taehyung.

- Buonanotte e scusate l'interruzione - bisbiglió e corse via, incapace di gestire lo sguardo ammaliante del ragazzo sul suo corpo ancora per molto.

Quando si chiuse la porta alle spalle, riuscì a tirare un respiro di sollievo, e scivoló a terra con la testa fra le mani, indeciso se le stelle più splendenti fossero quelle del cielo o quelle che aveva intravisto negli occhi di Taehyung.











𝘖𝘶𝘳 𝘓𝘢𝘴𝘵 𝘋𝘶𝘦𝘵 || 𝑽𝒌𝒐𝒐𝒌 Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora