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-𝑨𝒍𝒃𝒊𝒓𝒆𝒐

Jungkook quella mattina si sveglió con la testa che doleva per le poche ore di sonno, tutto occupato a pensare a due bellissimi occhi castani che lo invitavano dolcemente ad uscire con lui.
Si alzó dal letto, mugugnando frustrato e si diresse placidamente in cucina per mangiare qualcosa e per alleviare il mal di testa.

E ora cosa faccio con Taehyung? pensò Jungkook, in preda ad un nervosismo che lo mangiava vivo. Persino scandire le lettere del suo nome nella mente era strano, strano come un pensiero intrusivo e nuovo, che non faceva altro che destabilizzare gli schemi ponderati e la vita regolare di Jungkook.

Si decise a risolvere quel quesito decisamente poco matematico, - per sua grande sfortuna - durante la corsa abituale che lo teneva in forma ormai da mesi e mesi a questa parte.

A Jungkook piaceva correre. Era lineare, semplice, un piede di fronte all'altro, il corpo che si scaricava di tensione e stress e il fiato che mano a mano gli andava a mancare. Gli teneva la mente concentrata e al tempo stesso libera da ogni pensiero.

Decise di prepararsi, chè ormai erano le sette e sarebbe dovuto essere sul luogo di lavoro fra poco più di un'ora e mezza.

Il silenzio di quella mattinata pacifica peró fu rotto dal trillo del telefono, segno che qualcuno gli avrebbe rovinato la giornata da lì a breve.

Jungkook incespiscó sui suoi stessi passi per raggiungere il cellulare, fino a che non lo agguantó e rispose stanco.

- Si mamma? -

- Jungkook! Come stai tesoro? Tutto bene? Stai bene vero? - erano passati solo cinque secondi e già quella donna aveva parlato a sufficienza.

- Sto bene mamma - rispose spazientito.

- Sicuro tesoro? Hai bisogno di qualcosa? Soldi per l'affitto? Oppure cibo? - Jungkook odiava essere trattato così. Come se fosse un incapace. Sua madre aveva la bellissima abitudine di ricordargli quotidianamente la sua condizione, il suo autismo, la sindrome di Asperger.
Certo, non era così ingrato da non apprezzare le preoccupazioni di sua madre, ma era un adulto, che viveva in un appartamento di cui lui stesso pagava l'affitto, grazie al suo lavoro e alle ripetizioni impartite a ragazzi più giovani.

Jungkook riusciva a cavarsela. Certo, soffriva di ansia sociale, motivo per cui tollerava a stento il contatto con gli estranei, era impacciato, goffo, aveva problemi nell' instaurare una conversazione e non riusciva mai ad interpretare le emozioni altrui, men che meno le sue.

Ma aveva una mente brillante e fuori dal comune, un'intelligenza spiccata e una pacatezza da fare invidia.
Jungkook era andato via di casa proprio perché voleva dimostrare al mondo, - e a sé stesso - che era possibile per un Aspie* gestirsi la propria vita.

- No mamma non ho bisogno di niente. Non sono un incapace -

- Oh ma tesoro! Non l'ho mai pensato. Mi preoccupo solamente -

Si certo.

Era difficile intuire la linea sottile che separava la preoccupazione genuina di una madre dalla concezione di ritrovarsi con un figlio inetto.

- Sto bene. Non preoccuparti. Ora devo andare o faccio tardi al lavoro - rispose pacatamente Jungkook.

- Oh certo tesoro! Ti voglio bene -

𝘖𝘶𝘳 𝘓𝘢𝘴𝘵 𝘋𝘶𝘦𝘵 || 𝑽𝒌𝒐𝒐𝒌 Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora