-𝑨𝒕𝒍𝒂𝒔
Taehyung non riusciva più a comporre.
Non riusciva più a calarsi nelle vesti di artista creatore, come un'allegoria di Dio, in cui le note e i pentagrammi erano i suoi discepoli più fidati, ma che in quel momento sembravano avergli voltato le spalle, invocatori di Lucifero.
Quella dimensione di perenne melodia non gli era più a portata di mano, sconfinata e rilegata in un angolo della sua testa, troppo distante dal suo cuore, che stava per soffocare sotto il peso di quella mancata danza di suoni e armonia.
Taehyung aveva voglia di suonare, ma non sapeva cosa suonare. I brani che aveva riprodotto centinaia di volte, sembravano vuoti e incapaci di trasmettergli quella pace di cui tanto aveva bisogno.
Per questo la sera precedente, stanco di quell'inettitudine, aveva tirato fuori dalla custodia il suo amato violino dopo una settimana di astinenza, solo per posarselo sulla spalla e impugnare l'archetto, bramoso di essere utilizzato.
Forse per la frustrazione, forse per la rabbia, i gesti spericolati dell'argenteo si abbatterono con forza sulle corde, producendo suoni strazianti e raccapriccianti.
Taehyung non aveva mai suonato così. Non si era mai sentito così oppresso dalla sua stessa vita come in quel momento; scappato di casa solo per rifugiarsi dal fratello, incapace di cavarsela da solo.Si sentiva un peso. Un tremendo fardello, che portava il nome della Delusione tatuato sulla pelle.
Era consapevole di essere un impegno per Seokjin.
Suo fratello viveva in quell'appartamento ormai da tre anni, avendo preso la sua decisione, conscio di non poter più vivere in un ambiente che gli andava troppo stretto; che il motivo fosse simile a quello di Taehyung non aveva importanza.Taehyung lo invidiava. Ma in senso positivo sia chiaro, se mai l'invidia potesse avere una connotazione positiva.
Seokjin si era rifatto una vita. Trasferitosi dall'altra parte di Seoul, lontano dalle grinfie malate della famiglia Kim, aveva deciso di ricominciare, seguendo le regole da lui stesso dettate.Continuó a suonare, ignorando, palesemente, i rimproveri di suo fratello che non faceva altro che dirgli di smetterla, o qualcuno sarebbe venuto a lamentarsi in preda ad attacchi d'isteria.
Taehyung suonó, suonó e suonó, sempre se quelle note agonizzanti potessero chiamarsi musica.Non gli importava proprio di niente, l'unica cosa che voleva era esternare tutta quella furia malata che lo aveva oppresso per i suoi ventitré anni di vita.
Si perse in quella melodia tremenda, ridendo come un pazzo, perchè la realizzazione di essere un figlio deludente emergeva ad ogni colpo di archetto sulle corde.Taehyung voleva sprofondare e annegare in quei pensieri malsani, come a volersi sentire in colpa per l'atto di fuga che aveva compiuto, cercando di non gioire di quella nuova e profonda libertà, perchè ció sicuramente non gli faceva onore.
Perció fu come svegliarsi da un bellissimo incubo quando Seokjin venne a riprenderlo per la centesima volta, obbligandolo a scusarsi con uno dei vicini venuto a lamentarsi.
Taehyung si dipinse una finta espressione di rammarico sul volto e si preparó mentalmente delle scuse decenti. Ma fu proprio quando lo intravide, che la sua finta espressione di rammarico si trasformó in un quadro di piena colpevolezza. L'argenteo non aveva mai posato gli occhi su qualcosa di così composto, dolce e tremendamente affascinante.
Lo sconosciuto, era il ritratto della timidezza fatto a boccoli scuri e occhi da cerbiatto. Si torturava le mani bianche, facendo affiorare tutto il suo nervosismo; un nervosismo celato e nascosto da un'espressione completamente blanda, per non dire apatica.
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𝘖𝘶𝘳 𝘓𝘢𝘴𝘵 𝘋𝘶𝘦𝘵 || 𝑽𝒌𝒐𝒐𝒌
FanfictionJeon Jungkook, prodigio indiscusso della matematica, e segnato da un passato traumatizzante e difficile, vive da solo rinchiuso nella sua bolla di solitudine. Affetto dalla sindrome di Asperger, preferisce l'isolamento alla caoticità della vita mond...