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-𝑴𝒂𝒓𝒌𝒂𝒃

- È stato questo quindi? I tuoi genitori? - domandó Taehyung preoccupato. Erano entrambi seduti sul divano del soggiorno di casa Kim, le luci soffuse che creavano una tiepida atmosfera rassicurante, come a voler nascondere le loro anime nelle pieghe delle ombre. Fuori la notte più silenziosa, con le stelle di Jungkook che guardavano dall'alto i due ragazzi parlare e confidarsi di tutte le loro paure. Come a testimoniare il reciproco affetto che li univa. Jungkook era seduto sul divano con le gambe incrociate, i capelli lunghi e mossi a coprirgli gli occhi, le mani bianche che facevano capolino dalle maniche della felpa troppo grande.
Taehyung lo guardava assorto. Estasiato e addolcito dalla voce del bellissimo ragazzo seduto accanto a lui. Tutto in Jungkook sembrava pacato e tranquillo, come se nulla al mondo potesse scalfirlo, ma quell'apparente velo di silenzio era rotto dal pomo d'Adamo che faceva su e giù, le dita che torturavano i bordi del tessuto, perfino le labbra erano troppo rosse per via dei denti che ci affondavano.
- Sì. Odio il fatto che non abbiano fede nelle mie capacità - rispose tristemente il brunetto, sistemandosi meglio sul divano.
Sentite quelle parole, il violinista non poté fare a meno di allungare una mano e posarla sulla guancia di Jungkook, facendo in modo che i loro sguardi si incontrassero.

Era diventato uno splendido vizio accarezzare e toccare Jungkook, che quasi sembrava che Taehyung ne traesse beneficio, esattamente come il moro sentiva le fibre dei suoi muscoli stendersi a quel fragile contatto di pelle contro pelle.
- Io credo in te. Penso che tu sia straordinario Jungkook. Nessuno dovrebbe permettersi di calpestare il nostro valore, anzi a nessuno dovremmo permetterlo - continuó l'argenteo, sorridendo debolmente.
- Sono fragile Taehyung. Sono talmente fragile che a volte mi dimentico chi sono - ammise il moro piano.
- Cosa c'è di male nella fragilità? Quando ci rompiamo non è forse una prova che siamo ancora vivi? Che siamo ancora qui in questo mondo Jungkook? -
- A volte il dolore è troppo da sopportare. Come facciamo a sopravvivere? - chiese e in un impeto che sapeva solo di coraggio, appoggió la mano su quella del violinista.
- Se accettiamo le crepe che riempiono il nostro cuore, avremo sconfitto l'ultimo nemico che ci rimane. Noi stessi - sussurró l'argenteo, guardando il suo vicino dritto negli occhi.
- Chi lo ha detto? - domandó, sollevando un angolo della bocca.
- Io, l'ho scritto io - dichiaró Taehyung con un mezzo sorriso.
- L'hai scritto tu? Scrivi libri? -
- Scrivo poesie -
- Perché lo fai? - era una domanda sincera la sua, chè Jungkook non riusciva a capire come si potesse trovare conforto in qualcosa di così selvaggio, libero e cacofonico come le parole.
- Scrivo per ricordare chi sono. È un'arte che mi appartiene -
- Mi fai leggere qualcosa? - il moro era curioso, altrochè se lo era; nonostante non condividesse la stessa concezione o la medesima passione, era curioso oltremodo di leggere i versi delle poesie che raccontavano la vita di Taehyung.
- Solo perché sei te a chiedermelo. Non ho mai fatto leggere niente a nessuno - e detto quello, il ragazzo si alzó dal divano, sparendo solo per qualche attimo per poi riapparire con un quaderno fra le mani, pieno stondo di segni di penna, cancellature e ricordi appassiti. Si riaccomodó sul divano, accanto a un Jungkook tutto sorridente di vedere esaudita la sua più intima richiesta.
- Sappi che mi vergogno tantissimo, ok? Apprezza il mio gesto - dichiaró l'argenteo aprendo il diario in una pagina a caso.
- Perché ti vergogni? -
- Perchè l'arte non è fatta per fare rimanere indifferenti le persone. Tutti abbiamo dei segreti, giusto? Questi - disse indicando con un dito inanellato le righe scritte con la pena a sfera - Questi sono i miei segreti. Queste righe sono Kim Taehyung. La poesia è stato il mio urlo silenzioso quando non avevo più il coraggio di usare la voce -
- Sono qui per ascoltarti Taehyung. Puoi fidarti di me - pronunció Jungkook guardandolo serio.
- Oh lo so Jungkook, lo so -.
~
Jimin si sveglió indolenzito e dolorante e con estrema lentezza riuscì a girare il corpo per affacciarsi con la realtà dei fatti.
Min Yoongi era steso nel letto completamente nudo, se non per un misero lenzuolo che gli copriva le membra delicate. I capelli neri erano riversi sul materasso, un disastro di ciocche scure, cui Jimin si era divertito scompigliare solo qualche ora prima. Solo il crocifisso era rimasto sul corpo del pianista. Lo stesso crocifisso d'argento che aveva catturato l'attenzione di Jimin, la prima volta che posó l'obiettivo della fotocamera su di lui. Respirava regolarmente Yoongi, il petto si alzava lentamente, la collana seguiva i movimenti come per inerzia. Era bello fare sesso con Yoongi. Era bello perdersi per qualche ora a stretto contatto con il suo corpo, che pareva essere scolpito solo per premere i giusti tasti dell'anima del rosa, esattamente come se stesse suonando un pianoforte. Jimin si sentiva come la Primavera di Vivaldi o la Sinfonia n. 9 di Beethoven nelle mani delicate di Yoongi.

𝘖𝘶𝘳 𝘓𝘢𝘴𝘵 𝘋𝘶𝘦𝘵 || 𝑽𝒌𝒐𝒐𝒌 Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora