17. −08° 12′ 05''

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-𝑹𝒊𝒈𝒆𝒍

- Namjoon? - pronunció Seokjin, seduto a gambe accavallate sul divano del suo salotto, tentando di non far cadere la mistiera di erba sui suoi pantaloni nuovi di pacca.
Spezzettava con cura e metodo i fiori di canapa sulla mano, aggiungendo il tabacco poco a poco.
- Dimmi - rispose il platino, sedendosi con una tazza di caffè in mano.
Di cosa doveva parlare con Namjoon? Cosa aveva da dirgli? Perché aveva avuto l'impulso irrefrenabile di chiamarlo? Per un momento era come se si fosse dimenticato del motivo per cui era lì, del motivo per cui esisteva e respirava.
C'era qualcosa di terrificante in quell'atmosfera. Tutto era come da copione, Namjoon seduto dall'altra parte del divano, pronto a degustarsi il suo caffè, la luce accesa, l'odore di marijuana a impregnare tutta l'aria senza fare sconti. Eppure mancava qualcosa.
E non si trattava di particelle d'aria intorpidite o atrofizzate dal passato, ogni oggetto era al suo posto, trasecolare come le stelle d'inverno, imbarazzato da quanto si sentisse a disagio nei suoi vestiti e nella sua stessa casa.
- Ehi? Jin? - nel frattempo, il platino si era acceso una Lucky Strikes, il clipper in equilibrio nella mano destra pesante di anelli.
- Mi sento strano Nam -
- Strano in che senso? - chiese, guardandolo stavolta dall'altra parte della stanza. Non si era nemmeno accorto dei passi cadenzati del suo amico avvicinarsi alla finestra per fumare, tanto era immerso nei suoi pensieri.
- Non mi riconosco più - ammise, sistemando la mistiera sulla cartina e rollando con indice e pollice. Era diventato così meccanico da non fare nemmeno più attenzione ai suoi gesti.
- Come mai questi pensieri? -
- Non lo so. Non so cosa mi succede - e sbuffó, portandosi la canna alle labbra e accendendola.
- Perdere sè stessi è più che plausibile Seokjin, a tutti capita. Non sei infallibile -
- Nam, mi conosci. Non mi sono mai fatto tutte queste seghe mentali. Ho sempre scopato con delle donne diverse, ho sempre messo la famiglia e gli amici al primo posto, il mio lavoro è la mia passione. Cos'è cambiato? Non mi sento più io. È come se ogni cosa che facessi fosse premeditata, studiata e architettata. Sono una marionetta. Sono una bugia esposta in vetrina.
Sono sempre una dannata bugia esposta in vetrina Nam -
- Forse non ti basta più -
- Stronzate. Cosa potrei desiderare più di questo? Ho te, ho Taehyung, il mio lavoro, una casa! Dio, è così frustrante! - urlò, sollevando le braccia al cielo.
- A volte non sono le cose attorno a te che cambiano, ma cambia il modo in cui tu guardi le cose. Ci hai mai pensato? - rispose il più piccolo, gustandosi l'ultima boccata di fumo prima di spegnere la cicca nel posacenere.
- Sai? Ci sono tre suoni al mondo che mi piacciono più di qualsiasi altra cosa - disse, avvicinandosi al più grande guardandolo dall'alto del suo metro e ottanta.
- Il primo, è il rumore che fa la neve quando scricchiola sotto il peso della tavola da snow - il viola lo guardava con le sopracciglia aggrottate, non capendo dove volesse andare a parare.
- Il secondo è il rumore della cartina della sigaretta che si brucia, boccata dopo boccata. Come una storia di Bukowski in fiamme - si accovacció, posando i gomiti sulle ginocchia e rimiró il suo amico negli occhi.
- E l'ultimo è il suono della tua risata. Ridi raramente Seokjin, ma quando lo fai è come se il mio cuore si alleggerisse di un peso. Vedo il carico che porti sulle spalle, e quando ti lasci andare davvero sembra che per un momento, tutto svanisca. E riconosco una risata falsa da una vera. Riconosco il grado della tua felicità, della tua spensieratezza, in base al tono della tua voce poco prima di scoppiare a ridere o dalle lacrime che ti colano sul viso per colpa degli spasmi.
C'è ancora qualcosa in te Seokjin. Sono sprazzi di felicità, sono attimi, attimi fuggenti e impagabili. Sono secondi di pura follia fra la noia e il dolore.
Eppure ancora qualcosa c'è. Io lo vedo - e c'era qualcosa nello sguardo di Namjoon, quel qualcosa che Seokjin non era ancora riuscito a cogliere dopo tutti quegli anni.

~

- Credi che troverò qualcosa? - chiese Taehyung, infilandosi una mano nei capelli. L'altra era dolcemente posata in quella di Jungkook, stringendola piano.
- Tae è un negozio di musica - rispose il moro, come per ribadire l'ovvietà di quella domanda. Era buio fuori, le giornate si erano accorciate così come lo scorrere del tempo, i locali pieni di gente con un aperitivo sul bancone, e Taehyung e Jungkook stavano camminando mano nella mano, cercando di ripararsi dal fresco di quel tardo pomeriggio.
- Lo so, ma quel violino era il mio violino Kookie, sarà quasi impossibile sostituirlo - disse avvilito il castano, la linea delle labbra dura come la lama di un coltello.
- Troveremo qualcosa Tae, fidati di me -
Girare per le strade di Incheon era strano. Camminare mano nella mano con Taehyung era strano. Ma non per questo meno bello. Era una sensazione disarmante quella di intrecciare le proprie dita fra quelle più lunghe del violinista, stringendo la presa ogni qualvolta che voleva. La stessa presa ferrea di una mano esperta di poker, scabrosa come lo scrosciare delle onde del lago.
- Eccoci - disse Jungkook, che più esperto della zona, si ritrovó a trascinare il suo amante per le strade scivolose di pioggia. Kawabata's era forse il negozio di musica più famoso di Incheon. Era gestito da ben tre generazioni da una famiglia di immigrati giapponesi, o almeno così gli aveva raccontato Hoseok, che anni fa si divertiva a passare il tempo fra le corsie dei cd punk e dei vecchi vinili in compagnia del figlio del proprietario.
La campanella suonó quando varcarono la soglia e il caldo tepore del negozio riscaldó le loro bocche tremanti. Vi erano e chitarre appese al muro, acustiche, classiche, elettriche, e ancora dei bassi, dai mille colori, da quelli più sobri a quelli con più carattere. Vi erano persino una batteria e un pianoforte a coda, di quelli neri e lucenti die film degli anni '70. Un giradischi faceva librare nell'aria - già satura di bisbigli degli altri clienti - le note memorabili di The show must go on dei Queen.
E in un angolo del negozio, proprio sopra il reparto dei CD della musica classica, troneggiavano violini su violini. Scott Cao, Yamaha, un imperdibile Stradivari, e ancora Kinglos e Cremona.
Taehyung si illuminò a quella vista, le mani gli prudevano per impugnare l'archetto e mettersi a suonare nel bel mezzo del negozio, senza spartito, senza inibizioni. Solo in quel preciso istante si era reso conto quanto gli fosse mancato. I suoi polsi soffrivano la mancanza di muoversi con tanta audacia su quello strumento di Dio, le dita spasmodiche, agonizzanti in cerca d'aria e corde da pizzicare.
- Visto? Te lo avevo detto - sussurró Jungkook con gioia, avvicinando il mento alla spalla del castano.
- Mi sembra di essere tornato a casa Kookie - e Jungkook sapeva benissimo che non si riferiva alla famiglia che aveva lasciato alle spalle, ma a quella che aveva appena trovato, quella piccola rientranza scavata per erosione nel suo cuore, che ora poteva finalmente chiamare casa.

𝘖𝘶𝘳 𝘓𝘢𝘴𝘵 𝘋𝘶𝘦𝘵 || 𝑽𝒌𝒐𝒐𝒌 Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora