14. Ventuno o trentuno?

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« Ma, secondo te, abbiamo sbagliato strada? » interloquì una donna sulla cinquantina, tenendo stretta la mano del suo bambino e guardandosi intorno, per cercare di orientarsi in qualche modo, ma le risultò molto complicato, dal momento che non conosceva il paesino dove erano giunti poche ore prima.

Era di media statura, capelli marrone scuro, corti poco più su delle spalle, e occhi del medesimo colore. Aveva un trench blu, sotto il quale indossava un semplice vestito a maniche lunghe, a motivi floreali - che le arrivava poco più giù delle ginocchia-, dei collants pesanti color carne e delle décolleté blu.

« Ma cosa vuoi che ne sappia, Serena! » sbottò, scorbutico, un uomo prossimo ai sessanta, alzando gli occhi al cielo.

La sua chioma era ramata e corta e i suoi occhi erano castani. Era di alcuni centimetri più alto della moglie e indossava un giubbotto ebano, una maglietta azzurra a maniche lunghe, un paio di jeans e delle scarpe nere.

« È anche per me la prima volta che vengo qui! Amore, non stressarmi con le tue domande, per favore! Già ci ha pensato il viaggio a farmi uscire fuori di testa! » si lamentò Salvatore.

In effetti, non era stato un viaggetto piacevole: per tutto il tempo del volo, un'hostess non aveva fatto altro che chiacchierare con i due coniugi, poiché si era accorta che fossero gli unici tra quei passeggeri a parlare l'italiano e lei, sfortunatamente per loro, era italianissima e desiderosa di parlare la sua lingua con altri che la capissero.

Il piccolo Marco, invece, aveva dormito per tutto il viaggio. I suoi capelli erano come quelli del padre e gli occhi della madre. Addosso aveva un giubbotto nero, una maglietta rossa, jeans chiari e Primigi sportive blu e grigie.

« Oh, tesoro! Mi dispiace, scusa! » esclamò apprensiva la moglie, carezzandogli la guancia per poi dargli un bacio sulla stessa.

« Mamma, io ho fame! » esordì il bambino, che fino a quel momento si era soffermato a osservare il luogo circostante.

« Ma Marco, hai mangiato poco fa! » gli fece notare la donna, in quanto, effettivamente, aveva già fatto uno spuntino sull'aereo.

« Lo so, ma ho ancora fame! Quando arriviamo da Simo? » piagnucolò lui, sbuffando.

« Vorremmo saperlo anche noi ... » ammise l'uomo, scrutando la zona.

Tirò fuori dalla tasca dei pantaloni il bigliettino, dove aveva scritto l'indirizzo di casa della loro figlia, e lo lesse. Non ricordava proprio se lei avesse detto il numero ventuno o trentuno, e neanche la moglie era da meno.

Venivano da Tenerife, la più grande delle isole spagnole al largo della costa occidentale dell'Africa, le Canarie, ma avevano tenuto il loro linguaggio e le loro tradizioni italiane.

Dopo che le due figlie più grandi si furono stabilizzate, avevano deciso di trasferirsi in quell'isola - dato che era sempre stato il loro sogno, quello di andare a vivere lì - e, naturalmente, avevano portato con sé il piccolo Marco, che aveva dovuto frequentare una scuola spagnola.

Grazie a Dio, però, aveva trovato anche suoi coetanei che parlavano l'italiano ed era così riuscito ad ambientarsi meglio.

C'erano anche altri italiani che avevano deciso di insediarsi in quell'isoletta, il che aveva agevolato le cose ai tre, ma non era stato comunque difficile imparare lo spagnolo.

Salvatore spremette ancora un po' le meningi ma, non ricordandosi proprio il numero, decise di rinunciarci e, in accordo con la sua consorte, andarono alla ricerca di un bar dove poter pranzare e, magari, schiarirsi le idee.

Cammin facendo, passarono per una Università e, non appena il sessantenne ne lesse il nome, stentò a credervi: era quella che la loro figlia frequentava. La additò pure alla moglie ed eziandio lei ne fu piacevolmente stupita.

Da quella preghieraDove le storie prendono vita. Scoprilo ora