16. Sotto il Suo controllo

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Due giorni dopo, la cara Emilia dovette ripartire, dal momento che i mesi del suo soggiorno in Sicilia erano trascorsi e doveva prepararsi per il suo esame di piano.

Il raffreddore non le era completamente passato, ma rispetto al primo giorno si sentiva meglio ed era in grado di prendere il volo per Toronto, dove l'avrebbe accolta il suo ragazzo.

I suoi genitori l'avevano salutata quella mattina e il fratellino l'aveva stretta tra le sue esili braccia, con l'intenzione di non lasciarla andare via. Per convincerlo a scollarsi da lei, gli promise che gli avrebbe comprato una pista di macchinine che lui voleva tanto.

Le due Fedeli erano nella Citroën della ventitreenne, in direzione dell'aeroporto.

« Sicura di aver preso tutto? Non dimentichi nulla? » domandò lei, alla guida.

« Sì, Simo! Ho fatto mente locale di ciò che avevo e non manca nulla. » le fece sapere per la quarta volta di fila.

La maggiore si preoccupava sempre per la minore e voleva assicurarsi che ogni cosa andasse per il verso giusto.

« Bene. » disse solo, parcheggiando la macchina all'aeroporto.

Scesero e si diressero lì dentro. La ramata mostrò all'ufficio i suoi documenti e il passaporto.
Poi fece passare il biglietto in un macchinario.

« Uff. Ci siamo quasi. » sorrise Emilia, poggiando le valigie per terra.

« È stato bello passare del tempo con te, sorellona! Mi diverto sempre a prenderti in giro! » sghignazzò ancora e l'altra le diede una piccola spinta amichevole.

« Piccola peste! E io che pensavo ti piacesse stare con la tua amata sorellona. » la rimbeccò, seccata.

« Suvvia, non te la prendere! » scherzò, ridendosela.

Con uno slancio, se la strinse a sé e le disse, sincera:

« Mi mancherai, sorellona. Ti voglio bene. »

Simona ricambiò la stretta e a sua volta le sussurrò:

« Mancherai anche a me. Ti voglio bene anch'io. »

Slegarono l'abbraccio e si salutarono guancia a guancia, poi Emilia si allontanò, fece controllare i bagagli e li mise sul nastro trasportatore, insieme a giacca, cellulare e altri oggetti metallici.

Fece il check-in, attese un po' con altre persone e salì la scalinata dell'aereo.

La bruna stette lì finché quella non venne tolta e il portellone richiuso.
Un sorriso triste le dipinse il volto.

Era sempre una brutta sensazione salutare un proprio caro.
Si volevano un bene immenso e avevano un legame speciale e indissolubile, come pochi.

Era un amore fraterno indescrivibile, che loro chiamavano "affetto sorellile" per renderlo più femminile, a loro avviso. Erano sempre state inseparabili e anche quando c'era la distanza visibile a dividerle, nell'invisibile continuavano a rimanere legate.

Si girò e se ne ritornò alla macchina. Guidò verso l'hotel dei tre familiari, ma lo squillare del suo cellulare la fece destare dal suo proposito. Accostò un attimo e rispose.

« Buongiorno, signora Borghesi. » la salutò e l'altra ricambiò, annunciandole il motivo della sua chiamata.

« Ciao, Simona. Scusami se ti disturbo, ma puoi andare a prendere Martina a scuola? Oggi non tornerò prima delle cinque. »

« Certo! Nessun problema, signora. » asserì la giovane.

« Hai le chiavi con te? » domandò la donna.

Da quella preghieraDove le storie prendono vita. Scoprilo ora