15. Veri, come Dio ci vuole

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Dopo aver risposto al quesito del padre, annunciandogli che il suo appartamento era il numero ventuno, dopo averli fatti rinfocillare e dopo aver ascoltato i fatti di quel giorno accaduti ai tre familiari, questi ultimi avevano comunicato alle due sorelle che sarebbero rimasti fino a capodanno (quel dì era il ventitré novembre), ma avrebbero alloggiato in un hotel che, fortunatamente per loro, Simona conosceva e perciò aveva fornito tutte le indicazioni necessarie ai genitori.

Non era molto distante né da dove viveva e né dalla chiesa, che desideravano frequentare il giorno stesso, dal momento che il culto sarebbe cominciato alle sei e trenta del pomeriggio.

Le ragazze si offersero di scortarli all'hotel che avevano scelto.

Caricate le valigie in macchina, salirono tutti nell'abitacolo e la figlia maggiore stette alla guida.
Arrivati a destinazione, le giovani li aiutarono a portare i bagagli fino a dentro l'edificio.

Fatta sapere la loro prenotazione, il receptionist consegnò la chiave al padre e, con l'ascensore, salirono tutti e cinque al secondo piano, dove si trovava la camera centododici.

Giunti di fronte ad essa, il signor Fedeli aprì la porta ed entrarono: un arredamento moderno, per la maggior parte color vaniglia, dotato di un salone, un bagno e due stanze da letto, una con un letto matrimoniale e l'altra con un letto a una piazza.

Girarono un po' per l'abitazione.

« Wow! È carina questa camera! » esclamò la bruna.

« Guarda qui, Simo! In questo armadio ci sono le grucce! Ce ne prendiamo qualcuna? »

La sorella maggiore si schiaffeggiò una mano in faccia, roteando gli occhi. Era incorreggibile, ma sapeva che stava scherzando.

Diedero ancora uno sguardo in giro, poi passarono ai saluti.

« Quindi, stasera venite in chiesa? » domandò la più grande.

« Sì. Voi? » fece il padre, aprendo la valigia sul letto.

« Sì, certo! Ci vediamo stasera! » esclamò Simona, dando un bacio sulla guancia ai coniugi e al fratellino.

Fatto altrettanto la minore, entrambe uscirono dalla camera centododici e fecero ritorno al loro appartamento.

Fuori faceva freddo ed Emilia aveva dimenticato di mettere la giacca, inoltre non aveva portano neanche una sciarpa e cominciò ad avvertire un nodo fastidioso alla gola.

Si schiarì la voce e, una volta arrivate dentro, chiese alla sorella di farle una spremuta d'arancia, poiché si sentiva poco bene.

« Ti vado a prendere un termometro. » le riferì, prendendo il suddetto dall'armadietto del bagno e consegnandolo all'altra, che nel frattempo si era accoccolata tra le coperte del suo letto.

Prese delle arance dalla cesta delle frutta, le tagliò con un coltello e iniziò a spremerle. Inevitabilmente, la sua mente rimembrò il giorno in cui Andrea le aveva offerto della spremuta d'arancia fatta in casa.

Un sorriso le comparve sul viso, mentre svolgeva quell'attività che avrebbe giovato alla sorella.
Le portò il succo in un bicchiere e glielo fece bere, controllando se avesse qualche linea di febbre. Purtroppo per lei, aveva trentasette e sette.

« Non me la sento di venire. » piagnucolò la minore.

« Io te l'avevo detto di portarti almeno la sciarpa! » la rimbeccò la ventitreenne.

« Ora non ti ci mettere a farmi la predica! » esclamò, irritata.

Simona, per dispetto, le fece la linguaccia e ambedue si misero a ridere.

Da quella preghieraDove le storie prendono vita. Scoprilo ora