꧁Capitolo 5 - Parte prima꧂

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Immerso nelle tenebre, dove la luce del sole non poteva arrivare, un profilo scuro fluttuava sospeso sul vuoto, circondato da un'aura vibrante. La figura era di spalle, immobile, i pugni chiusi. Si voltò lentamente e un paio di occhi cremisi scintillarono nell'oscurità, la quale venne invasa improvvisamente da una luce estranea. Un volto giovane dai lineamenti duri lo osservava con un sorriso ambiguo.

Dalle sue labbra piene iniziò a colare sangue nero, gli occhi si accesero di una malignità paralizzante e, dopo che egli aprì le braccia, si sentì precipitare nel vuoto. William cadde con violenza in un mare scarlatto che sembrava emanare luce propria. Urlò, ma dalle sue labbra uscì solo un verso rauco e gutturale mentre rivoli di sangue rosso iniziarono scivolare lungo il mento, scendendo fino a mescolarsi con il plasma che lo circondava, l'odore insopportabile che raggiungeva l'entità in lui, agitandola.

Davanti a sé qualcosa sembrò muoversi al di sotto del sangue ancora caldo e una sagoma irriconoscibile spuntò infrangendo la superficie, generando piccole onde circolari. Il liquido denso che la copriva scivolò via dal corpo e Cesira, gli occhi aperti e vuoti, si alzò. Il ragazzo spalancò la bocca sentendosi invaso da un dolore estraneo, tremendo. Prima di poter proferire parola, l'anziana signora iniziò a sgretolarsi e le sue polveri volarono via, trasportante da una corrente non percepibile.

Il giovane uomo misterioso lo raggiunse, poggiando i piedi sulla superficie. Sembrava stesse scrutandogli l'anima, con quello sguardo indagatore e penetrante, le braccia incrociate, gli occhi piangenti sangue nero. Sorrise nuovamente e il suo corpo si disintegrò, lasciando dietro sè un'energia pulsante che si scagliò contro William, producendosi in voluminose spirali che l'avvolsero dalla testa ai piedi. Lui urlò, ma questa volta nessun suono uscì dalle sue labbra. Quel denso fumo nero si alzò verso il cielo per poi lanciarsi nella bocca spalancata del ragazzo, invadendo il suo corpo. Perse la sua coscienza.

Si svegliò bruscamente, il fiato corto e gli occhi arrossati.

Il proprietario del bar, davanti a lui, teneva le braccia incrociate e aveva un'aria scocciata. «Finalmente ti sei svegliato. Ti ho dato il permesso di dormire qua, mi parevi messo male ragazzo e quindi ho avuto un po' di buon senso, ma ora devo chiudere. Se vuoi posso offrirti un'altra colazione, e questa volta a un orario decente.» Arcuò un sopracciglio.

William ci mise una decina di secondi per tornare in sé. Le immagini e le sensazioni provate durante il sogno erano ancora vivide nella sua mente. «La ringrazio molto e mi dispiace di averle causato disturbo.» Parlò titubante. Controllò l'ora, le mani che tremavano. «Ma da quando un comune bar chiude alle sei di mattino?»

L'uomo ridacchiò. «Beh sai, dopo aver notato che alcuni locali fanno un bel gruzzoletto grazie ai giovani spendaccioni che si fanno vivi nelle ore notturne, ho deciso di rivoluzionare un po' questo vecchio posticino.» Si grattò la testa e si produsse in un sorriso teso. «Ma da quando hanno aperto quella discoteca all'incrocio qui dietro» allargò un braccio «i clienti giovani sono diminuiti. Me lo aspettavo, si, ma non credevo fino al punto di vedere il solito gruppetto tutte le sere.» Emise un sospiro profondo. «Forza, usciamo, che devo chiudere.»

William tirò un sospiro e chiuse gli occhi, cercando di ritornare al presente. Ipotizzò che la notizia sulla sua fuga non si fosse ancora diffusa, fortunatamente. Appena fu in piedi sentì un'improvvisa fitta alla schiena e al collo. Fece una smorfia e iniziò a massaggiarsi il muscolo platisma destro, finendo per procurarsi nuovi fastidi; si pentì di aver dormito con la faccia schiacciata contro il duro tavolo in legno.

Una volta fuori si ritrovò immerso in un'altra fredda e pungente giornata ancora buia. Salutò il proprietario, alzò il cappuccio e si mise le mani in tasca, scosso da un brivido. Si soffermò ad osservare le nuvole di vapore che andavano a formarsi mentre respirava, trasportate verso l'alto da un leggero vento. Non soffriva molto il freddo, ma iniziava a pentirsi di non essersi messo addosso il suo piumino imbottito dopo aver deciso ingenuamente, la mattina scorsa, di affrontare le temperature invernali a testa alta.

Tirò fuori il cellulare e iniziò a controllare se nei dintorni ci fosse una struttura adeguata in cui rifugiarsi anche durante la notte. Non trovò nulla inizialmente, ma allontanandosi dall'attuale posizione vide segnato sulla mappa virtuale un vecchio Hotel tre stelle inutilizzato, a soli due chilometri circa di distanza. Riuscì a raggiungerlo in una mezzora e finalmente poté tirare un sospiro di sollievo. Si piegò in due appoggiandosi alle ginocchia, il fiato mozzato. Il freddo pungente gli aveva intorpidito i sensi e la sua mente faticava a ragionare. Alzò lo sguardo, scrutando attentamente la facciata. L'edificio non sembrava essere stato vandalizzato.

Era recintato esternamente da un semplice nastro arancione. Sopra la porta d'ingresso era attaccata una grande insegna retroilluminante a led che recitava "Hotel Palazzo Grande 3٭". Il portone era chiuso con una catena arrugginita, così la afferrò e, tirandola e colpendola più volte con violenti pugni, riuscì a romperla. La porta si aprì con un sommesso cigolio.

Dentro, la muffa ricopriva buona parte delle pareti a causa dell'umidità, alle quali erano appesi quadri di tutte le dimensioni per lo più raffiguranti paesaggi, completamente impolverati così come lo era la mobilia antica. Al centro dell'atrio pendeva un grande lampadario in vetro, sorretto da una corda decorata con vernice d'oro; contro la parete di fronte vi era il bancone e, accanto, c'erano una scala ricoperta da un tappeto sporco di colore rosso e un ascensore.

Salì le scale per avventurarsi nei lunghi corridoi immersi nel silenzio e nell'ombra, in cerca di una porta aperta. Ne trovò una al secondo piano. La camera doppia era piccola e in ordine, un velo di polvere abbastanza spesso si era depositato sui mobili in stile barocco e l'enorme finestra accanto al letto era aperta; di fronte a quest'ultimo, un'altra porta conduceva al bagno.

Stanco com'era si lasciò cadere pesantemente sul materasso morbido, generando una nube di pulviscolo che lo avvolse completamente. Nel ricordarsi del sogno una paura viscerale lo invase. "Che cosa era quel posto? Chi era quel ragazzo? Sembrava tutto così reale..."

Senza accorgersene finì per addormentarsi.

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