Osservava con inespressività il corpo dell'umano a lei davanti, disteso su un letto a una piazza e mezza in quella che era la sua camera, all'interno di una casa trascurata da anni. Le ferite che lo coprivano si erano rimarginate parzialmente in profondità, ma ancora lo segnavano indelebilmente. Shira si chinò alla sua altezza e aguzzò lo sguardo, scandagliandogli la mente. In lui avvertiva turbamento e sofferenza, colmati lentamente da un crescente sollievo dovuto alla progressiva rimarginazione dei danni subiti.
Sorrise. «Potrei andarmene e permetterti di risvegliarti nel tuo mondo senza più la mia presenza, soddisfando quel tuo desiderio in parte giustificato.» Le labbra si piegarono in un mezzo sorriso incrinato. Si appoggiò al bordo del letto senza distogliere lo sguardo dal ragazzo. «Prima me ne vado, prima posso recuperare quanto ho perso. Eppure, qualcosa mi blocca.» Le venne da ridere. «Vivere così a lungo mi ha forse resa più debole?» Scosse la testa. «Per quale motivo dovrei trattenermi?»
Si alzò, i pugni stretti. Alle sue spalle andò a formarsi un portale, una sorta di piccolo buco nero incapace di attirare a sé quanto lo circondava grazie a un limite da lei imposto. Si voltò e fece per lasciarsi inghiottire da questo, ma qualcosa la bloccò sul posto. Volse la testa verso il giovane, nello sguardo una luce cupa. Dopo essersi riavvicinata ad egli, allungò una mano al suo volto. Un breve momento di esitazione la convinse a ritirarsi. Il portale la risucchiò, conducendola lontano.
La prima cosa che elaborò fu di ritrovarsi disteso su un qualcosa di morbido. Quando aprì gli occhi vide, sopra di sé, una lampada da soffitto in vetro decorata con una striscia blu. Si portò una mano alla fronte scostandosi la frangia, prendendo qualche respiro profondo dopo aver richiuso gli occhi. Una volta messosi seduto si perse ad osservare, confuso, una nuvola di pulviscolo fluttuante illuminata da un raggio di luce isolato che faceva capolino dalla fessura tra due aste della tapparella semichiusa di una finestra scorrevole alle sue spalle.
Si alzò, rendendosi conto di essere ancora a torso nudo. Le cicatrici sulla pelle riportarono a galla ordinatamente i ricordi dell'accaduto, il dolore quasi completamente svanito. Recuperate le forze uscì dalla camera, affacciata su un lungo corridoio che portava ad altre stanze. Riconobbe allora quella che era la sua casa, spoglia e deserta, ricoperta dalla polvere e immersa nella penombra, avvolta dal silenzio. Il volto gli si illuminò. Aprì una alla volta le porte nelle vicinanze, il sorriso che, progressivamente, lasciava spazio a un'espressione confusa. La maggior parte dei mobili era assente e nulla di personale era rimasto tra quelle vuote pareti.
Scese al piano terra, ritrovando la stessa desolazione. «C'è qualcuno?» Chiamò, ma seguì solo silenzio. «Mamma?» Nessuna risposta. «Dove siete tutti? Shira?» Un pensiero sorse irruento, portando con sé rinnovato sgomento. "Quanto tempo è passato? Perché la casa è così spoglia? Cosa diamine è successo?" Trattenne il respiro per qualche secondo.
«Posso constatare che ti sei ripreso.» William si girò nella direzione della voce, sobbalzando. «E sembri già perfettamente in forma.» Shira fece il suo ingresso. Scese le scale sui suoi alti tacchi a spillo, la gonna che faceva da strascico poggiandosi delicatamente su esse e i lunghi capelli corvini smossi debolmente dai due flussi di energia che, pigramente, danzavano alle sue spalle. Poggiò una mano alla ringhiera, le braccia protette da eleganti e rifiniti bracciali argentei abbinati alla corazza, lasciante scoperto il ventre, alle gambiere e alla cintura, collegata ai corti fiancali. Gli si posizionò di fronte, schiena dritta e sguardo acceso, il volto inespressivo. «Hai completato il tuo dovere. Ora sei libero di scegliere quale via imboccare.» Puntò l'abisso nero dei suoi occhi in quelli del ragazzo.
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Quantum Gods: Multiverse collapse
Fantasía꧁ 𝐼𝑛 𝑢𝑛 𝑢𝑛𝑖𝑣𝑒𝑟𝑠𝑜 𝑖𝑛 𝑐𝑢𝑖 𝑡𝑢𝑡𝑡𝑜 𝑝𝑎𝑟𝑒 𝑠𝑒𝑔𝑢𝑖𝑟𝑒 𝑟𝑒𝑔𝑜𝑙𝑒 𝑓𝑒𝑟𝑟𝑒𝑒 𝑒 𝑙𝑜𝑔𝑖𝑐ℎ𝑒, 𝑖𝑛 𝑐𝑢𝑖 𝑙'𝑖𝑚𝑝𝑜𝑠𝑠𝑖𝑏𝑖𝑙𝑒 𝑒 𝑙'𝑖𝑟𝑟𝑎𝑧𝑖𝑜𝑛𝑎𝑙𝑒 𝑟𝑒𝑠𝑡𝑎𝑛𝑜 𝑠𝑒𝑚𝑝𝑙𝑖𝑐𝑖 𝑐𝑜𝑛𝑐𝑒𝑡𝑡𝑖 𝑖𝑑𝑒𝑎𝑙𝑖�...