Il cuore sembrava volergli esplodere nel petto e faticava a prendere ossigeno. Aveva corso talmente tanto e talmente veloce che pensava fosse andato avanti negli ultimi minuti solo grazie all'adrenalina che aveva in circolo.
Per un centinaio di metri era stato inseguito dalla polizia, i disperati richiami di Caterina e le sue grida ancora rimbombanti nella testa. Pur di guadagnare terreno si era messo a saltare le cancellate di alcune villette vicine, entrando nei loro giardini dando l'impressione di essere un ladro pronto a fare la sua rapina. Alla fine era riuscito a trovare, solo per caso, un edificio abbandonato nascosto da un'enorme recinzione di metallo spoglia. Riuscì a superarla grazie ad un'apertura nascosta dalla vegetazione non curata, tirando un sospiro di sollievo dopo essersi assicurato che la zona fosse deserta, guardandosi intorno con attenzione.
Adesso si trovava all'interno di quella che pareva essere una costruzione non completata di un appartamento di cinque piani. I muri imbrattati di disegni osceni e scritte senza senso e un pesante tanfo di alcool, urina e chissà quali altre sostanze, rendeva l'aria irrespirabile. Si tirò sul naso la maglietta ormai non più indossabile, illudendosi di poter affievolire quell'odore.
Si sedette contro un muro leggermente più pulito degli altri, nascondendo la testa tra le braccia. La corsa lo aveva aiutato a non pensare e a dimenticare, anche se per poco, ma ora la pesantezza della consapevolezza tornava a schiacciarlo senza pietà. Non stava piangendo, ma la gola gli bruciava sempre di più. "Che cosa sono diventato? Cosa devo fare ora? Non potevo dire loro la verità, non senza aver capito cosa mi è successo..." Si guardò le mani; nell'accorgersi di avere ancora addosso il sangue di Cesira, un brivido freddo gli scese lungo la schiena. Cercò di ignorarlo e si alzò in piedi di scatto, determinato a risolvere la faccenda con qualsiasi mezzo. C'era qualcosa dentro di lui che non gli apparteneva, ne era certo; che si trattasse di bipolarismo, schizofrenia o chissà quale altro disturbo, l'avrebbe tirata fuori con la forza.
Fece un giro completo dei primi due piani, trovando un coccio di una bottiglia di birra nel dirigersi al successivo. Dopo averlo afferrato e rigirato tra le dita, insicuro sul da farsi, un cupo sorriso si formò sul suo volto per contorcersi in una smorfia. Recuperato il coraggio, se lo piantò nella mano, trapassandola. Il dolore era immenso; sentiva di avere lacerato un tendine e intaccato le ossa. Il suo sangue anormale, nero come la pece, piovve in piccole gocce sempre più numerose, andando a confondersi con quello scuro pavimento in cemento.
William non riuscì a trattenere un roco grido di sorpresa tra i gemiti di dolore, ritrovandosi a contemplare nuovamente quell'inquietante spettacolo, le lacrime agli occhi.«Avanti, esci fuori, mostro!» Il pianto si fece disperato. «Non so cosa sei e non so perché ci sei, ma ti sradicherò e ti eliminerò, lo giuro.» Parlò con la mandibola serrata, la voce tremante.
Il tempo passava ma non sentiva nulla di strano in lui, nessuna entità sconosciuta che cercava di impossessarsi ancora del suo corpo. Annaspò in cerca di aria, gridando nel rimuovere il coccio con uno strattone, ma si ammutolì poco dopo, sorpreso. Quella ferita che avrebbe costretto un uomo a subire un intervento e a restare invalido per mesi si stava già rimarginando. Le due estremità del tendine leso si ricollegarono tra loro a velocità inimmaginabile, cosi come muscoli e pelle. Era un processo doloroso ma William rimase in silenzio, sconvolto nell'osservare tale evento irrazionale. Provò a flettere le dita e i movimenti riuscirono fluidi e rapidi come sospettato. La mano era completamente guarita, così come la ferita al collo provocata da Matteo e i tagli che si era auto-inflitto al braccio.
Recuperò lucidità in fretta. «Non ti basta, eh? Ne vuoi di più?» Sibilò.
Girò la punta del coccio verso di sé. Prima di poterci ripensare, se lo conficcò dritto allo stomaco. Il respiro gli si mozzò e il dolore si propagò, intenso, lungo tutto il torace. Spalancò gli occhi, cadendo in ginocchio e ripiegandosi su sé stesso, una mano ancora stretta alla sua arma di fortuna. Sentì qualcosa risalirgli in gola, un sapore familiare misto a sostanza gastrica, e i liquidi mischiati fluirono dalla bocca, colando lungo il corpo. I polmoni iniziarono a bruciare per la mancanza di aria, costringendolo a prendere profondi respiri e ad ignorare quanto gli scivolava lungo la trachea. Iniziò a tossire con violenza, il mondo che gli vorticava intorno mentre veniva avvolto da una fitta nebbia.
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Quantum Gods: Multiverse collapse
Fantasy꧁ 𝐼𝑛 𝑢𝑛 𝑢𝑛𝑖𝑣𝑒𝑟𝑠𝑜 𝑖𝑛 𝑐𝑢𝑖 𝑡𝑢𝑡𝑡𝑜 𝑝𝑎𝑟𝑒 𝑠𝑒𝑔𝑢𝑖𝑟𝑒 𝑟𝑒𝑔𝑜𝑙𝑒 𝑓𝑒𝑟𝑟𝑒𝑒 𝑒 𝑙𝑜𝑔𝑖𝑐ℎ𝑒, 𝑖𝑛 𝑐𝑢𝑖 𝑙'𝑖𝑚𝑝𝑜𝑠𝑠𝑖𝑏𝑖𝑙𝑒 𝑒 𝑙'𝑖𝑟𝑟𝑎𝑧𝑖𝑜𝑛𝑎𝑙𝑒 𝑟𝑒𝑠𝑡𝑎𝑛𝑜 𝑠𝑒𝑚𝑝𝑙𝑖𝑐𝑖 𝑐𝑜𝑛𝑐𝑒𝑡𝑡𝑖 𝑖𝑑𝑒𝑎𝑙𝑖�...