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Jimin

Quando riaprii gli occhi quella mattina non mi ritrovavo nella stanza d'hotel dove mi ero addormentato la sera prima. Mi ritrovai seduto nella mia cameretta. Dalle persiane chiuse filtravano dei sottili raggi di luce. Mi stropicciai gli occhi e stiracchiai le braccia. La sveglia accanto a me indicava che erano le sette del mattino. Con tutta calma buttai le gambe giù dal letto e infilai i piedi nelle mie pantofole. Andai in bagno e mi sciacquai il viso con un po' di acqua fresca, per risvegliarmi da quello stato di confusione dato dal sonno. Recuperai i miei occhiali da vista e mi guardai allo specchio. I capelli neri erano tutti spettinati e dietro la spessa montatura nera i miei occhi erano circondati da un alone violaceo. Quella notte avevo dormito poco. Quasi niente. Il temporale estivo aveva battuto sui listelli di legno delle persiane, i tuoni avevano riempito l'aria silenziosa. Eppure non era a causa del mal tempo che non avevo chiuso occhio, ma era colpa di una persona. Mi passai l'asciugamano sul volto per asciugare le goccioline d'acqua che scendevano lungo le guance e mi bagnavano il collo. Sapevo di non essere il massimo. Tanti mi dicevano fossi carino, ma per qualche motivo io non riuscivo a vedermi come loro mi dipingevano. Mi toccai le guance tirandole, sperando che un giorno mi sarei svegliato e non sarebbero più state così paffute. Mi passai una mano tra i capelli, tirandoli indietro, ma tornarono subito al loro posto. Provai a togliermi gli occhiali e dovetti avvicinarmi di più allo specchio per vedermi bene. Aspettavo con impazienza che arrivasse la pubertà e che facesse con me, gli stessi miracoli che avevo visto fare su altre persone. A quel tempo fisicamente non credevo di essere bello, avevo quattordici anni, ero in piena fase adolescenziale e non mi importava niente di quello che gli altri potessero dirmi. Sapevo però che, anche se non potevo contare sul mio aspetto avvenente, dentro avevo un mondo di colori. C'erano cose di me che sapevo senza che gli altri me le dicessero. Sapevo di essere sincero, sapevo di essere leale, sapevo che ci sarei stato per le persone che amavo quando ne avessero avuto bisogno. Sapevo di essere un bravo ragazzo, responsabile e con dei sani principi ed era questo che ogni mattina mi faceva sorridere davanti al mio riflesso. Mi sorrisi sapendo che quella giornata sarebbe stata migliore della precedente e che il giorno dopo sarebbe stato ancora meglio. Come era successo quella notte, la tempesta sarebbe cessata e il sole sarebbe sorto, perché alla fine non può piovere per sempre. Con tutta la positività che mi era concessa trovare, mi preparai per andare a scuola. Indossai la mia uniforme, salutai mia mamma e uscii di casa. Con le cuffiette nelle orecchie e le mani nelle tasche percorsi il tragitto per la fermata del pullman. Mentre camminavo per la strada guardai il cielo, il sole brillava come non mai e io sentivo che quella sarebbe stata una bella giornata. Alla fermata del pullman, come tutte le mattine, c'era Tae che mi aspettava. Stava appoggiato al lampione con una spalla, le caviglie accavallate e tra le mani teneva un fumetto. Glielo avevo prestato quasi un mese prima e ancora non me lo aveva ridato, ma in realtà non mi importava. - Tae! - lo salutai sventolando una mano, lui alzò la testa e mi salutò.

– Jimin-ah, l'ho quasi finito – disse mostrandomi il fumetto. Io sorrisi e guardai a che punto fosse arrivato – tra un paio di giorni te lo ridò – disse chiudendolo e infilandolo nel suo zaino.

– Tranquillo – gli dissi io.

Mentre Taehyung litigava con la cerniera della sua cartella un gruppetto di ragazze ci passò davanti e il mio cuore perse un battito. Tae notò che la mia espressione era cambiata

– tutto bene? - chiese corrugando la fronte. Io agitai una mano imbarazzato

– si, si tutto bene – risi, cercando di mascherare l'imbarazzo, ma lui non sembrò bersela. Seguì il mio sguardo e quando vide il gruppetto di ragazze disse:

– ahhhhh – alzando l'indice, come se gli fosse venuta un'idea, poi schioccò le dita e battè le mani

– Jimin si è innamorato – disse ridendo, e io gli feci il gesto con la mano di abbassare la voce.

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