6. A question of lust

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Apologies
Are all you seem to get from me
But just like a child
You make me smile
when you care for me
And you know

It's a question of lust.

Quel giorno, a scuola, sarebbero iniziate le interrogazioni. Io ero preparato, come sempre, ma non era l'interrogazione in sé a preoccuparmi. La notte precedente mi teneva sveglio il pensiero di dover parlare davanti a un pubblico di venti ragazzi e ragazze, che mi avrebbero guardato e ascoltato. E io non potevo sopportarlo. Come sempre, avrei balbettato, mi sarei inceppato e poi sarei scoppiato a piangere davanti a tutti, mandando a puttane quel briciolo di dignità che forse avevo.

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Quando arrivò in classe il professor Cho e noi tutti ci alzammo per fargli un inchino, mi resi conto che mi tremavano le gambe e guardandomi i palmi delle mani, mi accorsi che erano umidi di sudore. Bene.

Sistemate le sue cose e fatto l'appello, il professore esordì: «Bene, ragazzi. Adesso aprirò il libro ad una pagina a caso e il numero che uscirà corrisponderà a quello di una persona sul registro» così aprì il libro e «Cinquantaquattro. Cinque più quattro: nove. Mhm...Jeon!»

Cazzo.

Cazzo. Cazzo. Cazzo.

Accanto a me, Hobi - ormai conscio dei miei disturbi - boccheggiò. Cercai di mandar giù il nodo che avevo alla gola - senza successo - , mi alzai e mi avvicinai alla cattedra. Sollevai lo sguardo, trovandomi davanti tante paia di occhi che mi scrutavano. Qualcuno - probabilmente, notando i miei occhi sbarrati - sussurrava cose all'orecchio del proprio compagno di banco. Come da programma, mi bloccai e poi, di colpo, smisi di respirare e sentii il battito del mio cuore accelerare. Gli occhi mi si riempirono di lacrime e feci quello che sapevo fare meglio: corsi via. Attraversai il corridoio correndo - sperando che nessuno mi vedesse - , diretto in bagno.

Era un attacco di panico. Lo sapevo perché non era la prima volta che mi capitava. Ne avevo da anni, da quando mia madre se n'era andata. Potevo dire di esserci quasi abituato, ma continuava a fare schifo. Fa schifo, non respirare. Fanno schifo, le palpitazioni. Fa schifo, piangere.

Mentre correvo in bagno, passai accanto agli spogliatoi, da cui uscì un'ondata di ragazzi, ma io non feci caso, finché non urtai uno di loro. Alzai lo sguardo per scusarmi, ma quando vidi l'ultimo volto che volevo vedere in un momento come quello, mi bloccai.

«Ragazzino, che-»

Ma non sentii il resto della frase, perché ripresi a correre verso il bagno. Non volevo che mi vedesse piangere. Non volevo che conoscesse i miei problemi. Non volevo che anche lui mi considerasse quello strano. Ero quasi arrivato al bagno e credevo di essere solo, quando alle mie spalle sentii un «Ehi ehi ehi. Vieni qui, vieni qui» e poi un paio di braccia mi costrinsero a girarmi e mi circondarono, stringendomi.

Taehyung mi stava abbracciando.

Con una mano - posata sulla mia schiena - mi teneva stretto a sé, mentre l'altra mi accarezzava i capelli con premura.

«H-Hyung» riuscii a sussurrare tra i singhiozzi, la voce tremante.
«Shh. Ci sono io, Kookie»
In quel momento, ripresi a respirare, ma il battito del mio cuore non accennava a rallentare.

Prima di allora, credevo che il suono più bello che avrei mai sentito in vita mia fosse la sua voce, ma mi sbagliavo: abbracciato al lui, con le dita che stringevano il tessuto della sua maglietta e la testa posata sul suo petto, riuscivo a sentire il suo cuore. Batteva forte quasi quanto il mio.
Quella melodia era meglio di qualunque canzone avessi mai sentito, anche meglio di Precious.

𝐁𝐨𝐥𝐥𝐞 𝐝𝐢 𝐒𝐚𝐩𝐨𝐧𝐞 •𝑇𝑎𝑒𝑘𝑜𝑜𝑘•Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora