{ capitolo settimo }

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Tonka Strinić's point of view

Questa mattina la sveglia non è suonata, merda. Questo significa che oggi non vado alla Riva.

Mi alzai dal letto, andai in bagno e poi mi tolsi il pigiama per cambiarmi. Legai i cappelli in uno chignon.

Scesi giù per le scale, ma lì non mi aspettava nessuno se non Boni.

Subito notai che le portefinestre che portavano al terrazzo erano aperte. Lì c'era mamma seduta. Andai alla porta e vidi che mamma non era sola.

"Papà?", domandai sorpresa interrompendo il loro discorso.

Rise venendomi ad abbracciare. "Quando sei arrivato?"

"Alle 6 sotto atterrato in aeroporto.", disse lasciandomi andare, e poi ognuno si sedette al prossimo posto.

Papà di fronte a me e mamma alla mia sinistra.

"Per quanto tempo rimarrai qui?", chiesi bevendo un sorso di succo d'arancia.

"Finché non prepariamo tutto per il trasloco.", disse, al che io quasi sputai tutto il succo sulla tavola.

"Scusa? Di che trasloco stai parlando?"

"Vi trasferite con me a Milano. Lì tua madre riceverà un aiuto speciale, e anche tu lì potrai finire l'ultimo anno di università.", disse tranquillamente mentre in me si mescolavano migliaia di emozioni.

"No, non accetto questa offerta.", risposi pacifica.

"Tonka devi capire che così è meglio per tutti."

"E perché solo adesso ti è venuta in mente questa 'brillante' idea, dopo sei anni? Se non fossi fuggito in Italia dopo la morte di Petar, mamma ora non avrebbe bisogno di un aiuto speciale. Io qui a Spalato e a Zagabria ho tutta la mia vita.", diss innervosita, ma a mio avviso, potevo dire che non mi stava prendendo sul serio.

"Tonka, tuo padre ha ragione.", disse mamma prendendomi la mano. Ora anche lei è contro di me.

"Per quanto mi riguarda, voi potete andare. Io ho detto la mia.", mi alzai dalla sedia e con passo veloce uscii da casa.

Non riesco a credere ciò che papà sta facendo.

Primo ci lasciamo così distrutte a Spalato e fugge a Milano, e ora vuole che una volta per tutte andiamo laggiù. Questo non è normale.



Ante Rebić's point of view

"Oh avanti.", mormorai piano mentre assaggiavo il caffè che avevo fatto.

Sono la vergogna del popolo dato che non so nemmeno preparare un caffè.

Presi la tazza ed uscii fuori in giardino davanti casa. Proprio in quel momento passò Tonka.

"Giorno Tonka!", la salutai, ma lei passò senza nemmeno girarsi.

Lasciai la tazza sul tavolo e andai verso di lei.

"Non seguirmi.", disse lei come se fosse un ordine che ovviamente non ascoltai.

"Stai bene?", chiesi preoccupato.

"Non sto bene. Per questo ti ho chiesto di non seguirmi.", sembrava veramente innervosita mentre le lacrime le scendevano per le guance.

Quando lo notò, velocemente le asciugò.

"Va bene piangere.", dissi piano seguendo il suo ritmo di camminata.

"Non mi piace piangere quando qualcuno mi guarda.", disse asciugandosi ancora le lacrime.

"D'accordo, non ti guarderò, ma adesso andiamo verso casa mia così ti calmi un po' e poi andiamo dove vuoi.", suggerii e lei annuì con il capo.

Tornammo indietro all'appartamento, Tonka non disse nemmeno una parola.

Ci sedemmo sul divano. Era così tranquilla e calma che l'unica cosa che si poteva sentire era il suo respiro.

"Perché sei così buono nei miei confronti?", mi domandò asciugando le lacrime.

"Perché sei mia amica.", risposi ridendo.

"Ti porterei del the o qualcos'altro, ma non sono bravo a cucinare.", riuscii a strapparle un piccolo sorriso.

"Un bicchiere d'acqua può andare.", disse e mi alzai subito dal divano e andai in cucina a prenderle dell'acqua.

Portandole il bicchiere d'acqua, qualche forza di gravità mi fece cadere il bicchiere dalla mano e si frantumò in mille pezzi.

"Ah, fanculo.", dissi accovacciandomi per terra e iniziai a raccogliere i pezzetti di vetro.

"Aspetta che ti aiuto.", si alzò dal divano.

"No, no, stai seduta lì. Non c'è bisogno che tu ti ferisca.", e come se me la fossi gufata, mi tagliai io ed il sangue iniziò ad uscire.

"Aah va' a quel paese."

"Non sei normale.", disse ridendo.

"Vai a mettere la ferita sotto l'acqua.", aggiunse, poi iniziò a pulire per terra.

Andai in cucina e aprii il rubinetto. Misi la mano sotto l'acqua come mi aveva detto lei.

Strinsi il pugno dell'altra mano trattenendomi da non bestemmiare dal dolore.

"Oggi non è proprio la mia giornata.", dissi a denti stretti quando lei entrò in cucina tenendo in mano la paletta con il vetro rotto.

"Davvero non capisco come tu, un calciatore professionista, sia così goffo.", rise buttando il vetro nella spazzatura.

"Hey, sono bravo a giocare a calcio!", esclamai cercando di suonare credibile.

Mi sorrise dolcemente.

"Dov'è la cassetta del pronto soccorso?", mi chiese.

"Non lo so, probabilmente nel cassetto sotto la televisione.", dissi alzando le sopracciglia dal dolore.

Questo fa incredibilmente male.

Tornò in cucina con la cassetta bianca. Tirò fuori le bende e tutte le altre stupidaggini.

Prese la mia mano nella sua e la prima cosa fece fu spruzzare quel dannato spray disinfettante. Quasi urlai.

"Gesù Cristo, Santa Maria, Sant'Antonio da Padova.", mormorai ad occhi chiusi mentre lei bendava la mia mano.

"Non fare il drammatico, non è così terribile.", disse concentrata su quello che stava facendo.

"Vorrei vedere te.", mi morsi il labbro. Sono sicuro che stia arrivando la mia morte.

"Sono già abituata a queste cose. Altrimenti non avrei studiato medicina.", bisogna avere le palle per studiare medicina. "Ecco, finito.", aprii gli occhi e guardai la mia mano bendata.

"Grazie.", dissi guardandola negli occhi, i suoi occhi azzurri.

"È a questo che servono gli amici.", rise e poi tornammo in salotto.

Splićanka #1 ~ Ante Rebić (ITA)Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora