Capitolo 41

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<Dorian>

Quello che doveva essere l'interno di una casa putrescente non aveva nulla a che fare con l'aspetto che aveva l'esterno. Non era affatto una casa abbandonata, aveva gli arredi in ordine, non un filo di polvere o un oggetto fuori posto.

"Deve essere in cantina." - sussurrai ai due che erano con me. Poi attraversai la cucina e imboccai un corridoio. Non sapevo dove andare.

"Io vado di qua." - disse Efrem prima di allontanarsi.

La prima porta che trovai nascondeva una stanza da letto matrimoniale, perfettamente in ordine come il resto della casa. Nonostante fosse tutto così pulito e ordinato nulla sembrava suggerire che lì dentro ci abitasse qualcuno.

La seconda porta che aprii era un piccolo bagno. 

Poi fu la volta di una stanza vuota, nessun tipo d'arredamento.

"Credo di aver trovato qualcosa." - la testa di Efrem fece capolino dalla fine del corridoio e ci avvicinammo.

Efrem, il gigante dai capelli rossi, era fermo davanti ad una porta. Lo superai e tentai di aprirla.

"Ma è chiusa."

"Appunto..." - mi rispose.

"Spostatevi." - disse Edgar e prima che potessi rendermi conto di cosa stava facendo si era già lanciato contro la porta rompendo i cardini che la tenevano in piedi.

"Wow. Ce ne abbiamo messo di tempo, ma finalmente abbiamo capito a cosa sei utile." - gli mollai una pacca sulla spalla e lui mugugnò di dolore prima di raddrizzarsi.

Una rampa di scale buia si apriva davanti a noi, non riuscivo a vederne la fine.

"Aspetta, dovrei... - Edgar frugò nelle tasche e ne estrasse il telefono accendendo la torcia per fare luce. - Vado avanti io."

Arrivati a circa metà della scala, alcune voci indistinte mi arrivarono alle orecchie.

"Shh"

"Cos..." - cercò di dire Edgar ma gli tirai un pugno sul braccio per azzittirlo.

"... io non capisco... - sembrava dire una voce femminile. Di certo non era Harley. - ... non capisco come possa essere possibile."

"Nemmeno io..." - questa era lei. La mia Harley, o almeno lo speravo.

Nel sentire la sua voce il mio cuore perse un battito.

"...Insomma, eri morta." - perché questa voce mi suonava così familiare.

Avanzai di qualche passo, verso quelle voci.  

C'era Lizzie, l'infermiera che controllava i parametri di Harley tutte le mattine. Ora era in piedi, faceva avanti e indietro, una mano tra i capelli. Borbottava qualcosa a bassa voce, indossava ancora l'uniforme da infermiera ma aveva abbandonato il camice bianco ai piedi della scala. Una lampadina era stata accesa e ora pendeva appesa dondolando leggermente.

Qualcosa si mosse alle mia destra. Mi voltai e la vidi.

Harley...

Era lei, in carne ed ossa. Era pallida, occhiaie profonde circondavano i suoi occhi, indossava una tunica bianca ed era molto più magra di come me la ricordavo. Ma era bellissima.

Sentendosi osservata sollevò lo sguardo e i suoi occhi castani si inchiodarono ai miei azzurri. Una scintilla gli attraversò, erano invasi da una luce nuova. Vitali. Credevo che non avrei mai più avuto la possibilità di rivederli, sorridenti e allegri, curiosi di vedere il mondo.

Lost in damnation - anime dannateDove le storie prendono vita. Scoprilo ora