20. Come infiltrarsi nei giardini reali

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Il cellulare suonò a vuoto per la quinta volta, facendo sbuffare il vampiro dalla frustrazione.

«É inutile continuare a chiamare.» Gli disse Ragnar, seduto di fronte a lui con il gomito puntato sul bracciolo del sedile e il volto rivolto al finestrino del treno. «Giá é tanto che sia riuscito a convincerli a permettergli di fare addirittura due telefonate.»

«Ma se l'hanno preso solo perché per qualche ragione aveva preso le tue sembianza, perché non cambia semplicemente aspetto e la fa finita?»

«Bella domanda.» Replicó il corvino assottigliando lo sguardo. «Sará la prima cosa che gli chiederó, non appena lo avrò tirato fuori di lí.»

«Ma di lí... Dove?»

Si arrischiò a chiedergli Kenneth.
Come c'era da aspettarsi, però, Ragnar non degnò la sua domanda della minima considerazione, continuando a guardare fuori come se nulla fosse. Come se ci fosse qualcosa da vedere, poi, considerando che ormai era mezzanotte passata.

Il mezzelfo sospiró mentre si lasciava andare contro lo schienale del suo sedile, quello di fianco a Florian.
Due ore prima, in quella camera del Elven Inn, si era raccomandato con Linn di inventare una spiegazione convincente da dare ai loro genitori per spiegare perché dovuto passare la notte fuori e il fatto che nessuno dei due lo avesse ancora chiamato in preda ad un attacck di panico gli fece capire che la sorella doveva esserci riuscita.
Certo, un po' si pentì di averle dato carta bianca nel momento in cui si vide arrivare dalla madre un messaggio contenente una singola emoji, ovvero quella del pollice in su, che lo fece lentamente sprofondare dalla vergogna non appena ne intuì il significato. Imbarazzo che non fece che aumentare nel momento in cui Florian, notando il suo volto arrossato, gli chiese se si sentisse bene e se fosse il caso di aprire il finestrino per far entrare un po' d'aria, ricevendo in tutta risposta un breve mugugno indistinto, che con un po' di fantasia interpretó come un "no, grazie".

«Forse é il caso di farsi una dormita. Arriveremo tra quattro ore e la giornata si prospetta impegnativa.»

Propose Florian poco tempo dopo e anche se la sua idea venne accolta da due cenni di assenso, alla fine nessuno dei tre riuscí a prendere sonno -tranne forse Kenneth, che comunque non riuscì a riposare per piú di un'ora-, ma nonostante ciò, quando alle quattro e mezza del mattino arrivarono a destinazione, solo il mezzelfo sembrò risentire di quella mancanza di ore di sonno. Gli altri due infatti, Ragnar in particolar modo, sembravano essere perfettamente vigili e padroni di sé, sgusciando fuori dal vagone e immettendosi nelle strade deserte di Oslo con un passo svelto e deciso che Kenneth faticò non poco a sostenere.

«Adesso possiamo sapere dove stiamo andando?»

Chiese Florian dopo venti minuti di cammino, guardandosi intorno con una meraviglia che Kenneth poteva ben comprendere. Per quale motivo si trovavano in una delle vie piú famose della città? Al momento stavano fiancheggiando il Parco Reale, dove era situato il Palazzo in cui viveva la famiglia reale norvegese. Non si trattava esattamente del fatiscente vicolo di periferia che i due si aspettavano. Davvero i rapitori tenevano Elias prigioniero in uno di quegli edifici?

«Siamo arrivati.»

Annunciò Ragnar di punto in bianco, fermandosi bruscamente in mezzo al marciapiede.

«Che vuoi dire?»

Replicó Kenneth guardandosi intorno perplesso. A sinistra avevano uno degli ingressi secondari del parco e a destra la strada.

«Da questa parte.»

Aggiunse il corvino, per poi voltarsi a sinistra ed entrare nel parco.

«Ma questo é il Parco Reale, no?» Chiese Florian. «Non penso che alle cinque del mattino sia aperto.»

How to Destroy HumanityDove le storie prendono vita. Scoprilo ora