Il nemico ha il dolce sulle labbra, ma in cuore medita di gettarti in una fossa.
[Siracide– capitolo 12]
Il Palasport era una struttura imponente e molto all'avanguardia,tribune enormi con ampi camminamenti, tappeto di erba sintetica di ultima generazione, spazio per un campo da calcio, corsa a ostacoli, scatto, zona per il salto con l'asta, lancio del peso e molti altri sport che appassionavano tanto gli umani. Era tutto pronto per l'accoglienza delle duemila persone, palco, luci, musica, tutto perfettamente studiato, sarebbe stata la più grande conquista di anime di tutti i tempi.
Sfortunatamente nessuno di loro riuscì ad aprire le porte.
Il tempo smise di scorrere, calò il silenzio totale. Non si udiva più il suono del vento che stava fischiando tra i tralicci d'acciaio, non si muovevano più le bandiere fissate in alto, oltre la tettoia di vetro che copriva le tribune, non c'era più l'ombra di un volatile, né si avvertiva lo spostamento delle nuvole in cielo.
Vennero gli angeli, luminosi e terribili, con le loro spade e lance incandescenti del fuoco celestiale. Le uniche fiamme che potevano nuocere i diavoli.
«Tradimento!» gridò qualcuno.
Andras alzò lo sguardo, fissando le Potestà che calavano riempendo la visuale con i loro drappi colorati, le immacolate ali, la luce fulgida degli occhi. Fissando l'annientamento.
Tradimento.
Il suo corpo iniziò la trasformazione: si piegava e si ingrossava, il suo cuore si accartocciava.
Reagì solo per istinto, schivò una lama di fuoco azzurro, balzò di lato colpì alla cieca, in cerca di uno spiraglio.
Caddero dardi infiammati, il canto degli angeli che diveniva sinfonia di sottofondo al ringhiare degli diavoli.
Come era stato ai tempi della Caduta, come lo era in ogni oggi, tra le sfere Celesti, come lo sarebbe stato sempiternamente.
Artigli che strappavano brandelli di veste e pelle, fuoco che mordeva la carne facendola sfrigolare, corna tra le viscere, lance a spezzare ossa e tranciare muscoli.
Andras combatteva, ma senza convinzione, non avevano importanza le ferite, era già stato dilaniato in modo irreparabile prima ancora di cominciare a lottare.
Non vide Camael, non riuscì a scorgere tra gli altri i lucenti occhi giallo sole, il viso perfetto, la lancia con il vessillo cremisi. In realtà lo sfuggì. Che lo infilzasse pure alle spalle, non avrebbe fatto differenza.
Uno squarcio alla coscia destra, il braccio sinistro bruciato, tre costole frantumate, il fiato che veniva meno, sangue ruscellava tra le zanne, sulle labbra, sopra la barba e sulla gola.
Erano troppi. Era la fine.
Precipitò verso il terreno, le ali in fiamme. Un ultimo rantolo mentre impattava sollevando strati verde vivido e terreno denso, odoroso di putrefazione.
La Fine.
Provò a rimettersi in piedi, provò a voltarsi, ricadde di schiena, dolore, fumo, un tremito agonizzante, sbatté le palpebre, la vista appannata. Il cielo era grigio, screziato di arancio e viola, la notte che avanzava sulla disfatta dei diavoli.
Naberius, Orobas, si chiese cosa ne era stato di loro.
Si chiese cosa ne era stato di Camael.
L'Elevato che l'aveva preso, fatto ballare come una marionetta, illuso e poi annientato. Il suo corpo devastato non faceva male tanto quanto il cuore.
Che sciocco!
Tossì. Ebbe uno spasmo.
Che patetico ingenuo.
Non riuscì più a tenere gli occhi aperti.
Pazzo! Pazzo e pazzo!
Perché, nonostante tutto, continuava ad amarlo.
L'abisso, di nuovo il silenzio, questa volta un silenzio vuoto, senza più speranze. L'ultima cosa che avvertì fu un vento fresco su di sé, che spense finalmente le fiamme.
Eppure avrebbe voluto baciarlo, almeno un'ultima volta.
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Neutral
FantasyStiamo vivendo un momento difficile a livello creativo, questo racconto che proporremmo a puntate è una sorta di esercitazione, per cui già da ora perdonate se non sarà perfettamente editato e se lo stile a volte farà delle altalene. Aggiorneremo ci...