Capitolo 27

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Non è bene vivere soli, neppure in Paradiso.

[proverbio Yiddish]


Non era ancora l'alba, dai tendaggi filtrava una sorta di bagliore sfocato, un singulto luminoso dalle sfumature argentate che andava a toccare il bordo del letto e sfiorava una mano di Andras immobile sopra la coperta accartocciata.

Dormiva, il demonio, con aria così innocente da sembrare un angelo. Chissà, si chiese Camael, che lo fissava in piedi a pochi passi dal letto, che aspetto aveva avuto prima della Caduta? Era già così bello, con tutta quell'oscurità che lo rivestiva come un superbo completo da sera. Chissà i suoi capelli e i suoi occhi che genere di luminosità avevano irradiato? Chissà come erano apparse le sue grandi ali nel candore della purezza?

Camael era quasi certo che se Andras non fosse mai Caduto lui non lo avrebbe mai notato, non l'avrebbe certamente desiderato.

Non lo avrebbe amato.

Uscì dalla stanza in punta di piedi e si recò in bagno per farsi una doccia, poi preparò la colazione per il marchese e la portò con un vassoio fino al tavolino accanto al letto, stando sempre attento a non far rumore. Uscì dall'appartamento che il sole era sorto sulla città, nascosto come al solito dietro sottili nubi ferrigne.

Non era ancora stato convocato, ma era certo che presto le Potestà sarebbero venute a cercarlo a casa, non voleva rischiare di mettere ancora in pericolo Andras, per cui c'era solo una cosa che gli rimanesse da fare.

Rehael poteva anche andare a farsi fottere, tanto chi dirigeva davvero le danze era solo uno e Camael sarebbe andato a render conto del suo agire direttamente a lui.


Michael non volle riceverlo.

Non si trovava sul Piano Terreno, e gli fu chiaramente detto che se anche Camael si fosse recato alle Cerchie Celesti avrebbe intrapreso quel viaggio invano, non aveva un supervisore a cui fare riferimento?

La Potestà si trattenne dal rispondere che sì, lo aveva, ma che se se lo fosse di nuovo trovato davanti non si sarebbe trattenuto dallo sfondargli quel muso legnoso. Si allontanò sentendosi sempre più preoccupato. Tornare a casa o non tornarci, se non fosse riuscito a parlare con Michael sarebbe stata la medesima cosa: sarebbero giunti a cercarlo e avrebbero trovato Andras. Forse doveva prendere il marchese e riportarlo al suo appartamento alla Città Alta? Nascondersi insieme a lui? Scosse il capo, mentre camminava furioso fuori dai giardini rigogliosi che circondavano l'abitazione terrena dell'Arcangelo. Rehael sapeva dove abitava Andras, di sicuro quella fedifraga di Eleanore glielo aveva detto.

Doveva proteggerlo a tutti i costi e doveva anche preservare se stesso, per quanto possibile. Non intendeva sacrificare la propria essenza di angelo ma al tempo stesso non avrebbe mai accettato di rinunciare ad Andras, semplicemente perché ormai non poteva più farlo, non sarebbe stata più la stessa eternità senza di lui.

Si fermò, poco prima di raggiungere il cancello voluminoso con i grandi spunzoni dorati che svettavano in cima, quasi a voler minacciare il cielo stesso.

Quel cancello, di volute di ferro, mostrava una molteplicità di simbologie legate al comandante supremo delle milizie angeliche. Lancia, spada, bilancia, il grande serpente arrotolato...

Camael si corrucciò, mosse qualche passo ancora, poggiò una mano su uno di quei contorti riccioli metallici, fece scivolare le dita fino a carezzare la testa liscia del serpente, i suoi occhi intagliati, le zanne lunghe e curve, la parvenza di un sorriso feroce sulla piatta testa triangolare.

Se Michael non voleva riceverlo, poteva esserci qualcun altro, di pari importanza, che magari sarebbe stato più ben disposto ad ascoltarlo. Sogghignò fra sé, idea assolutamente folle, ma valeva la pena tentare.

Riprese a camminare, quasi a correre. Gli ritornò alla mente la voce di Andras: Ormai è tutta una follia:angeli, diavoli, noi due. «Hai ragione, amore mio, ormai è tutta una follia!»

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