N.A. LA STORIA NON E' MIA IO MI LIMITO SOLO A PUBBLICARLA.
Ice on fire
capitolo 22
Passeggiavo mano nella mano con Harry al parco. Sentivo le sue dita strette tra le mie, ed era come se le nostre mani fossero fatte per stare insieme. Aderivano perfettamente, come una maglietta adosso che ti calza a pennello. Chester camminava a qualche centimetro davanti a noi, al guinzaglio. Scodinzolava e teneva la lingua a penzoloni, scrutando la gente che gli passava accanto. Quando vedeva un altro cane rizzava le orecchie e cercava di avvicinarsi, ed Harry lo slegava, lasciandolo correre libero.
«Non ti mancherà questa città?» mi chiese, con la sua voce profonda.
«Casa è dove ti porta il cuore.» risposi, sorridendo.
«A me mancherà.»
Lo guardai confusa, vedendolo pensieroso.
Come poteva mancargli una città in cui aveva trovato solo dolore?
«Dammi almeno un motivo per cui dovrebbe mancarti questo posto.»
«Così è troppo facile.» sorrise.
Lo guardai, in attesa.
«Ho conosciuto te.»
Mi guardò, con quegli occhi belli, penetranti. Con quel sorriso che mi scaldava il cuore, che mi faceva pensare che sarebbe andato tutto bene, che niente sarebbe potuto andare male finchè eravamo insieme.
«Ci siamo conosciuti sulla porta di casa, - continuò – siamo cresciuti insieme, ho dato il mio primo bacio dietro l'albero del cortile, non so quante ginocchia mi sono sbucciato e nonostante tutto avevo sempre la forza di rimettermi in piedi.. In questa città ci siamo noi, ci sei tu, è una cosa che mi porterò dentro, sempre.»
«Hai ragione, - dissi – questa città rimarrà sempre speciale.»
Mi alzai sulle punte per baciarlo e gli accarezzai una guancia. Sentivo i bambini che giocavano felici sugli scivoli e sulle altelene, mentre noi ci sedevamo sulla panchina, più vicini che mai. E Chester tornò, mettendosi accanto al suo padrone.
«Voglio avere sei bambini un giorno!» disse a un tratto Harry.
«Sei?!» tossii.
«Certo, - continuò – voglio una squadra di calcetto.»
Sorrisi e sollevai il busto per poterlo guardare.
«Perchè, devono essere tutti maschi?»
«No, - acconsentii – posso concederti qualche femmina.»
Mi scoccò un bacio sul naso e io lo pizzicai al fianco.
«Io vorrei un maschio e una femmina.» fantasticai.
«Se avessimo una femmina mi odierebbe perchè sarei gelosissimo.»
Lo vidi tornare serio.
«E sarebbe una cosa bellissima.» mi avvicinai al suo viso, sorridendogli.
«Non potrebbe mai mettere un vestito, o uscire la sera, - continuò – e il primo ragazzo che le si avvicina passerebbe i guai.»
«Vuoi che si faccia suora?»
«Sto esagerando vero?» mi guardò, ridendo.
«Direi di si, - risposi – ma non voglio diventare madre a diciotto anni, abbiamo ancora tempo davanti.»
«Saresti la miglior madre del mondo, - disse – anche a diciotto anni.»
Mi guardò con quello sguardo affettuoso e premuroso che mi lanciava ogni volta che mi faceva un complimento. E se per tutto il giorno non lo avessi visto triste o malinconico per Adele, in quel momento vidi quel velo di tristezza ricoprirgli il viso. E senza dire niente gli strinsi una mano e mi appoggiai al suo petto, mentre lui con un braccio mi avvolgeva. Era bello immaginare tutto quel futuro insieme. Io e Harry marito e moglie, genitori, nonni. Vivere insieme e invecchiare insieme. Comprare una piccola casetta, trovare un buon lavoro, avere un bambino, crescerlo, vederlo diventare grande. Sentirsi chiamare “mamma” e “papà”. Penso che non ci sia niente di più bello al mondo. E se io sarei stata una brava madre, Harry sarebbe stato un padre perfetto.
«Anche tu saresti il miglior padre del mondo.» sussurrai.
Harry mi strinse e sentii le sue labbra tra i miei capelli. Lo sarebbe stato sulserio, il miglior padre del mondo, perchè aveva avuto la madre migliore. Non avrebbe fatto gli stessi errori di Marcus. Avrebbe amato i suoi figli più della sua stessa vita e avrebbe dato qualsiasi cosa per renderli felici.
«Sei sicura di volertene andare?» mi chiese, per la ventesima volta forse.
«Harry, - sbuffai – mi hai fatto questa domanda un centinaio di volte!»
«E se dovessi pentirtene? Non voglio che rinunci a tutto per me.»
«Rinunciare a te sarebbe rinunciare a tutto.»
Mi guardò di nuovo sorridendo e poi mi baciò sulle labbra.
«Vado a recuperare Chester.» mi disse, dandomi un altro bacio.
Si alzò dalla panchina e andò verso gli alberi, dove avevamo visto correrci Chester un attimo prima. Mentre lo aspettavo guardai le famiglie con i loro figli, gli alberi colmi di fiori, il sole che illuminava l'immenso parco di Bristol. L'estate era alle porte ormai, il diploma era alle porte, e il mio futuro. Cosa avrei detto ai miei? Non ci avevo neanche pensato!
«Bella signorina..» mi voltai di scatto e vidi un vagabonda che mi si avvicinava.
«Avrebbe qualcosa da darmi per mangiare?» mi chiese.
Era sulla cinquantina, pienotto, lunga barba. Metteva un po' i brividi, ma quanta tenerezza mi faceva.
«Mi spiace ma..» cercai di dire.
«Ehi! - sentii Harry gridare – Lasciala stare!»
Si mise davanti a me, allontanandomi con il braccio, con Chester al suo fianco che fissava il pover uomo.
Il vagabondo indietreggiò, impaurito.
«Voleva solo un po' di aiuto!» rimproverai Harry, una volta che l'uomo se ne andò.
«Non puoi fidarti della gente.»
«E tu dovresti cercare di fidarti un po' di più!»
Lo superai seccata, mettendomi a braccia conserte.
Era sempre lo stesso Harry. Con la stessa rabbia, la stessa sfiducia nelle persone. Lo stesso che cercava sempre e solo di difendermi anche quando non ne avevo bisogno.
«Hanna..» lo sentii alle mie spalle, chiamarmi debolmente.
Io non mi fermai, continuai a camminare, fin quando non lo sentii accellerare il passo e piombarmi di fronte.
«Mi dispiace.. - sussurrò – ho solo paura che ti possa capitare qualcosa di male.»
«Non la smetterai mai di preoccuparti per me, vero?»
«Non mi è concesso.»
Chester ci guardava, muovendo la testa da me a Harry.
Lo guardai ancora, vedendo ancora i pugni serrati. Gli presi una mano, cercando di rilassarlo.
«Andiamo a casa.» dissi.
Mi sorrise e si avvicinò, dandomi un bacio in fronte.«So che siete eccitati all'idea della fine dell'anno scolastico, ma vi ricordo che il risultato finale è importante.»
La professoressa Wilson cercava ancora di spronarci a studiare per la fine dell'anno, con scarsi risultati forse. Ormai più nessuno pensava a studiare, erano tutti eccitati per la festa di fine anno e per la finale della squadra di pallanuoto. Io non la stavo a sentire, ero intenta a disegnare sul mio quaderno. Non so bene cosa fosse, ma più o meno aveva le sembianze di un vestito. Vestito lungo, stile schiava. Stretto al seno e morbido lungo i fianchi.
«Hai ricominciato a disegnare? - mi chiese eccitata Aria al mio fianco – E' fantastico!»
A sentire quella domanda mi stranii un attimo.
Fissai il disegno e poco dopo accartociai il foglio, ponendolo sotto il banco.
«Era tanto per..» dissi, disegnando un fiore sul banco.
«Certo, era tanto per.» mi fece eco lei.
La ignorai per un attimo, fissando la Wilson che alla lavagna cercava di spiegarci gli ultimi argomenti di matematica. Per me erano solo segni messi a casa qua e là.
«Hai parlato con i tuoi genitori?» Aria cercò di nuovo di comunicare.
«Non ancora.»
Per ignorarla del tutto, finsi di prendere appunti.
Non pensiate che mi stia comportando da una che se la tira, semplicemente non voleva affrontare quell'argomento con lei. Aveva la capacità di rendere una cosa così bella, un punto di domando colossale.
«Quando hai intenzione di farlo?» provò di nuovo, sussurrando.
«Non glielo dirò, - risposi – andrò via di casa all'improvviso.»
«Hanna!» Alzò la voce senza neanche accorgersene.
«C'è qualche problema Aria?» le chiese la Wilson, con il gessetto in mano.
Tutti gli occhi erano puntati su di noi e io cercai di farmi piccola piccola e fare l'indifferente.
«Che problema dovrebbe esserci? - scherzò – Insomma, sono un genio in matematica!»
Ci fu una risata di gruppo e Aria arrossì.
«Il suo ultimo compito non la pensa allo stesso modo.» continuò la Wilson, riprendendo a scrivere.
Una volta che tutti tornarono a seguire, Aria tornò all'attacco.
«Che intenzioni hai?» mi chiese.
«Vuoi rilassarti? - sbuffai – Stavo solo scherzando, glielo dirò!»
Aria mi fissò, mentre 'fingevo' di prendere appunti.
Sembrava essersi calmata.
«Io andrò a Oxford, - disse a un tratto pensierosa – mi farà bene cambiare aria.»
Misi giù la penna, rendendomi conto che era del tutto inutile avere dei gerogrifici sul mio quaderno, e cercai di rassicurarla.
«Andrà tutto bene Aria, - dissi – sarai di nuovo felice e la vità universitaria ti piacerà.»
«Avrei voluto farla con te.»
In quello stesso istante la campanella suonò.
La Wilson ci salutò e i miei compagni fecero a gara ad uscire dalla classe, felici che quella giornata fosse finita. Io raccolsi i libri e uscii dall'aula insieme ad Aria.
«Hanna! - mi richiamò qualcuno – Hanna!»
Mi voltai, trovando Melissa nella confusione più totale, tenendo tra le braccia cartelloni e striscioni.
«Serve una mano?» le chiese Aria, dubbiosa.
«No è tutto apposto, - rispose Melissa, afferrando al volo un cartellone – volevo solo chiedere ad Hanna se poteva darmi una mano per questo ballo.»
«Non credo di essere la persona giusta in questo mom..»
«Ti prego, - mi implorò – quelle vipere mi manderanno al manicomio.»
Si riferiva alle altre componenti del comitato studentesche. Io me ne ero tirata fuori quando scoprii la malattia di Adele e avevo lasciato tutto nelle mani di Melissa.
«Perfavore.» continuò.
«Qual'è il tema?» acconsentii.
Melissa sorrise a 32 denti e mi porse il fascicolo.
«Gli anni '50, - rispose – ti ringrazio molto Hanna!»
Mi strinse affettuosamente, con mia grande sorpresa e poi la vidi allontanarsi.
Vidi Aria sorridere e lanciarmi uno sguardo compiaciuto.
«Non dire niente!» la ammonii.
«Ti farà bene riprendere i tuoi vecchi compiti.»
La mia amica era entusiasta, e anche se non lo dimostravo, sentivo un po' di piacere nel riprendere il posto nel comitato studentesco. D'altronde, mi ero sempre occupata di tutti gli eventi organizzati dalla scuola, ed era un po' come tornare alle origini.
«Sei contenta..» sussurrò Aria.
«Cosa?!»
«Sei contenta di organizzare il ballo! - sbraitò – Lo leggo nei tuoi occhi!»
Cercai di calmarla, senza che dasse di matto, ma finimmo col ridere. La pregai dismetterla più volte, ma lei continuava a rivangare ricordi del passato e continuava a farmi ridere.. fin quando qualcuno non interruppe quel momento.
«Signorina Tomlison.»
Una voce ferma, precisa.
Mi voltai stranita, trovando la Preside Moore.
«Può seguirmi nel mio ufficio?» mi chiese.
Io guardai prima Aria e poi annuii, seguendola.
«E' successo qualcosa?» chiesi, ansiosa.
«E' meglio discuterne qui dentro, - aprì la porta del suo ufficio – non le dispiace se ho fatto chiamare i suoi genitori, vero?»
Rimasi pietrificata.
Mia madre e mio padre sedevano davanti alla scrivania, lo sguardo serio.
Entrai nella stanza e la signora Moore chiuse la porta alle sue spalle.
Ero terrorizzata.
Forse era giunto il momento di chiarire le cose.
STAI LEGGENDO
Ice on Fire :: hes {in correzione}
FanficN.B. la storia non è mia, io mi limito solo e unicamente a pubblicarla ---------------------- Il ghiaccio ha bisogno del fuoco per abbandonare il suo stato di paralisi, il fuoco ha bisogno dell'acqua per placare le sue fiamme imponenti. ...