Capitolo ventitrè.

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Ice on fire

capitolo 23




«Mamma che succede?»
Vidi mia madre con l'espressione confusa e mio padre con la gamba a cavallo e le mani intrecciate sul ginocchio.
«La Preside Moore ha voluto convocarci stamattina, - disse – ma non ci ha voluto dire ancora niente.»
«Ho voluto aspettare te Hanna, - mi disse la Preside, sedendosi – prego accomodati.»
«Preferisco stare in piedi.» 
Rimasi dietro le due poltroncine dei miei genitori, mettendo le braccia conserte e attesi.
«Vi ho voluto convocare per discutere un po' sulla situazione di Hanna, - iniziò la Moore – diciamo che mi sta preoccupando.»
«In che senso preoccupando?» domandò mia madre.
«Si è cacciata in qualche guaio?» si intromise mio padre, che fino a quel momento non aveva osato dire parola.
«Niente del genere, - li rassicurò la preside – ma ho motivo di pensare che nell'ultimo periodo abbia messo da parte la scuola.»
I miei genitori la guardavano straniti, attendendo che continuasse.
«Hanna, - si rivolse a me questa volta – i tuoi voti sono calati notevolmente, hai lasciato il comitato studentesco e i professori mi dicono che in classe sei sempre distratta e non segui le lezioni.»
«Cosa?!» sbraitò mia madre.
«E' vero che ho avuto un periodo non facile, - mi difesi – ma non è necessario farne una tragedia, è ridicolo!»
«Calma il tono signorina!» mi riprese mio padre.
«La situazione è seria Hanna, non ho neanche ricevuto la tua domanda per l'università.»
Guardai la Moore infastidita, come se si stesse impicciando di cose che non la riguardassero.
«Credevo l'avessi mandata mesi fa!» disse mia madre, guardandomi.
«Sono stata semplicemente occupata e non ho avuto tempo per compilarla!» mi giustificai, mentendo.
«So che la morte di Adele ti ha sconvolto..» cercò di dire la Preside.
«Cosa? - la interruppi – Adele non c'entra con tutto questo!»
«Allora c'entra Harry Styles e il suo ritorno.» continuò.
La guardai a bocca aperta, sconvolta.
«Hanna tesoro, - mia madre si alzò, avvicinandosi – se ti senti sperduta, confusa, con noi puoi parlarne.»
«Non sono confusa! - mi allontanai – Ho solo dato più importanza ad altre cose ed Harry non c'entra niente in tutto questo!» mentii, ancora.
«Posso provare a convincere l'università ad accettarla così tardi, ma dovrebbe recuperare le insufficienze.» 
La preside parlava con mio padre, ignorandomi del tutto.
«Non andrò all'università, - urlai a un tratto – ne l'anno prossimo e ne mai!»
«E cosa pensi di fare?» mi chiese mio padre, rimanendo immobile sulla sedia.
Forza Hanna. Forza e coraggio. Puoi dire la verità finalmente. Puoi spiegare ciò che vorresti fare in futuro.
«Andrò in Spagna da Louis, - dissi – insieme ad Harry.»
Ci fu silenzio assoluto. 
Mia madre portò una mano alla bocca, incredula.
«E l'accademia di moda? - mi chiese – Il tuo sogno di creare una tua linea?»
«Ho cambiato i miei piani.»
La Preside poggiò le mani incrociate sulla scrivania, incredula.
Mio padre rimase immobile, ancora mi dava le spalle.
«Hanna sei una ragazza con un grande talento, - mi disse la Moore – non gettare tutto al vento.»
Stavo per rispondere, quando colui che aveva detto si e no due parole, si alzò dalla poltroncina, si voltò verso di me e mi guardò serio.
«Tu non andrai da nessuna parte.» mi minacciò.
«Prova a fermarmi.» 
Lo guardai dritto negli occhi, per la prima volta senza paura. E detto ciò uscii da quella stanza di inquisizione, correndo verso l'uscita della scuola e andando verso casa. Casa. Che non era quella in cui vivevo con i miei genitori. Casa era Harry. Casa erano Harry e Chester. Casa eravamo Harry, Chester e io. Casa era quello che di bello avevamo insieme. E non mi importava di quello che pensavano i miei, di cosa pensava la preside, di cosa pensavano tutti. Ci sarebbe stato sempre un Harry-Hanna. Liam aveva ragione. E così correvo più forte che potevo, fin quando vidi quella piccola casetta rosa che avevo sempre visto dalla mia finestra, che avevo sempre guardato con gioia e amore. Arrivai alla porta e bussai con foga, fin troppo eccitata.
«Ehi!» 
Harry aprì la porta confuso, ma prima che potesse chiedermi perchè avessi bussato con tanta energia, gli saltai al collo, baciandolo più volte sulle labbra.
«Non pensare che non apprezzi tutto ciò, al contrario, ma, - disse tra un bacio e l'altro – a cosa lo devo?»
«Perchè ti amo da morire, - risposi, continuando a baciarlo – e ho detto ai miei dei nostri piani.»
«Davvero? - Harry mi bloccò con le braccia – E cosa hanno detto?»
«Non si sono presi per mano e non hanno girato attorno a un tavolo se questo che pensi, - scherzai – ma me ne sono andata prima che potessero legarmi a una sedia.»
Ripresi a baciarlo e cercai di sfilargli via la maglietta.
«Non voglio crearti casini con i tuoi.» cercò di dire.
«Possiamo parlarne dopo? - lo pregai – Adesso voglio solo andare di sopra con te e fare nient'altro che questo per le prossime ore.» 
Gli sfilai del tutto la maglietta e lui non riuscii a ribattere.
«Sai che ti dico? - lo guardai – Il divano va benissimo.»
Harry rise e mi sollevò da terra, portandomi in salotto.
Mi misi a cavalcioni su di lui e portai la testa all'indietro, lasciandomi torturare il collo.
Sentivo la sua mano tra i miei capelli e l'altra che mi accarezzava la schiena, facendomi rabbrividre.
E ci amavamo. Ci amavamo sempre di più. Ci amavamo in quella piccola casetta che ci aveva fatto da casa per tanti anni. Ci amavamo in quel piccolo quartiere di Bristol. Ci amavamo in quella cittadina che, Harry aveva ragione, mi sarebbe mancata come non mai.



Rigiravo quelle pagine, osservando tutti gli appunti di Melissa, le foto della palestra che ormai conoscevo a memoria, i numeri del catering, dei fornitori. Avevo vissuto in quel mondo per così tanto tempo che mi era mancato. Harry dormiva a pochi centimetri da me, la testa poggiata sul bracciolo del divano e un braccio attorno alla mia vita. Io mi ero messa una sua felpa, nonostante fosse quasi estate c'era ancora fresco in casa, e con una tazza di tea tra le mani cercavo idee per il ballo di fine anno. Gli anni '50, aveva detto Melissa. Sarebbe stato bello ispirarci a Grease, no? Avremo potuto metterre una macchina d'ecopa all'entrata per fare le foto da mettere nell'annuario, comprare una macchina per lo zucchero filato e vestirci con gonne lunghe e farci le codine ai capelli. Sarebbe stato divertente.
«Hanna..» sentii mugugnare Harry.
«Ehi..» sussurrai io, sorridendo.
Aveva gli occhi ancora socchiusi, l'espressione assonnata.
Si mise seduto e mi avvolse tra le sue braccia, poggiando il mento sulla mia spalla.
«Cos'è?» mi chiese.
«Melissa mi ha chiesto di aiutarla per il ballo di fine anno, - spiegai – niente di importante.»
Harry guardava il fascicolo, le mie mani che accarezzavano quelle pagine, che guardavano quel mondo che mi era appartenuto per tanto tempo e forse anche lui capì che mi era mancato.
«Non dovresti mettere da parte queste cose sai..» sussurrò.
«Non hanno importanza.»
«Ce l'hanno invece, - mi corresse – perchè ti rendono ciò che sei.»
Mi voltai e trovai il suo viso, dolce e gentile.
Mi avvicinai alle sue labbra per baciarle e sorrisi.
«Sopravviverò anche senza.» dissi.
Tornai all'organizzazione del ballo, mentre vidi Chester avvicinarsi scodinzolando.
«Spiegami dei tuoi genitori.» Harry cambiò discorso e io mi irrigidii.
«Ma niente, la Preside Moore li ha convocati per informarli dei miei progetti..»
«Solo per quello?» chiese.
«Diciamo che i miei voti per ora non sono stati perfetti, ma hanno solo esagerato.»
«Hanna!» mi richiamò lui.
«Hanno solo esagerato! - mi giustificai – E comunque non ha più importanza.»
Mi alzai, camminando a piedi nudi verso la cucina. 
«Ha molta importanza, - Harry mi venne in contro – si parla del tuo futuro!»
«Ti ho già detto cosa farò del mio futuro.»
«Sento che non è davvero ciò che vuoi.» 
Lo vidi guardarmi profondamente dentro, come se stesse cercando di psicanalizzarmi. Cosa tentava di fare? Perchè voleva a tutti i costi che cambiassi idea?
Stavo per rispondere, ma il campanello della porta mi anticipò.
Harry ci mise un po' prima di andare ad aprire perchè rimase a guardarmi, come se volesse lasciare fuori chiunque fosse. Ma il campanello continuava a insistere e non potè fare altro che aprire.
«Charlie, - disse – entra.»
Un tipo in giacca e cravatta entrò in casa, con un paio di occhiali da sole in faccia. Non mi ero forse accorta del sole accecante che c'era?
«Lei è Hanna, - mi presentò Harry – e Hanna lui è Charlie, il mio babysitter.»
«E' un simpaticone, - scherzò Charlie allungando una mano – quindi tu sei la famosa Hanna.»
«Non saprei veramente.» strinsi la sua mano e sorrisi imbarazzata.
«Lasciati dire che sei molto più bella di come ti ha descritta.» 
«Ehi!» lo richiamò Harry, geloso.
«Quindi ti ha parlato di me, - dissi io – interessante.»
«Non prendere a parola tutto quello che dice, ama scherzare, - Harry si giustificò subito – è l'agente FBI più inutile che conosca.»
«Ehi ragazzino, - scherzò Charlie – mi sono occupato di te da quando ancora portavi il pannolino.»
Charlie lo afferrò prima che Harry potesse scappare e scherzosamente lo colpiù sulla testa. Io risi alla scena e mi accorsi solo adesso che Charlie assomigliava parecchio al tipo losco che vedevo insieme ad Harry prima di sapere tutta la verità. In effetti, era proprio lui.
«Come mai da queste parti?» gli chiese Harry, una volta libero.
«Ho bisogno di parlarti.»
Charlie divenne improvvisamente serio e diede un'occhiata a me e capii all'istante.
«Fate pure, - dissi – io andrò di sopra.»
Li lasciai in cucina, facendo finta di salire le scale con Chester alle calcagne, e mi fermai dove non potevano vedermi. Sentii qualcuno sedersi sulla poltrona, rumori di bicchieri e poi la conversazione iniziò.
«Sei ancora sicuro di portare Hanna con te?» gli chiese Charlie.
«Voglio allontanarmi da tutto questo e lasciami mio padre alle spalle.»
«Sono contento per questo, - continuò Charlie – purtroppo tuo padre è ancora disperso.»
Non riuscii a sentire cosa disse Harry dopo e venni distratta da Chester che continuava a leccarmi le caviglie.
«...qui vicino, dovete fare attenzione.» diceva Charlie, ma non riuscii a capire l'inizio.
«Una volta partiti me lo lascerò alle spalle.»
«Sei sotto la mia custodia da cinque anni ormai e sai che per me sei come un figlio, - disse Charlie – e non ho mai visto quello sguardo su di te in tutto questo tempo.»
«Quale sguardo?» chiese Harry confuso.
«Sei proprio partito per la tangente ragazzo.»
«Per cosa?!» sbraitò Harry e sussurrai io.
«Ti sei proprio fottuto il cervello per quella ragazza, - spiegò Charlie – quello sguardo ce l'hai solo una volta nella vita.»
Sorrisi.
Guardai Chester seduto accanto a me, con la lingua a penzoloni e l'espressione felice.
Forse si chiedeva perchè sorridevo, ma non gli importava il motivo. Vedeva che ero felice ed era felice anche lui.
Sentii la porta chiudersi e i passi lenti di Harry.
«Puoi uscire adesso.» urlò.
«Come fai a sapere che sono qui?» sbraitai di scatto, senza pensarci e incastrandomi da sola.
«Questo l'ha confermato.» lo sentii ridere.
Uscii allo scoperto, imbarazzata.
«Credi davvero che non ti conosca?» mi fece notare lui, camminando verso di me.
«Speravo solo un po' di meno.» sorrisi, innocente.
Mi circondò i fianchi con le sue braccia e io portai le mie attorno al suo collo.
«Non mi stai nascondendo niente vero? - mi chiese – Sulla scuola, sui i tuoi genitori, sul volertene andare da qui..»
«Non ti nascondo niente, - mentii – va tutto bene.»
Mi alzai sulle punte per baciarlo e sentii la sua mano calda sulla mia schiena, che mi avvicinava sempre di più al suo corpo. Mi sollevo da terrà, ma prima che potesse poggiarmi sul divano , suonarono alla porta. Lo sentii sbuffare mentre mi baciava e mi venne da ridere. 
«Ciao amico, - salutò Zayn una volta che Harry aprì la porta – mi stavate aspettando per fare una cosa a tre?»
Disse maliziosamente vedendomi.
«Che vuoi Malik?» gli chiese Harry, chiudendo la porta.
«E' mercoledì sera amico, - rispose Zayn sedendosi sul divano – ho portato i pop corn e star wars.»
Teneva in mano un pacco di pop corn e iniziò a mangiarli, riempendo il divano di briciole e attirando l'attenzione di Chester.
Guardai Zayn divertita e l'espressione imbarazzata di Harry.
«Mi dispiace, - mi sussurrò – me ne ero dimenticato.»
«Non voglio rovinare la vostra serata da maschi, - dissi – mi sentirei terribilmente in colpa.»
«Preferisci tornare a casa?» mi chiese, a malincuore.
«No, - dissi frettolosamente – resto.»
Non potevo tornare a casa. Dovevo starci meno tempo possibile perchè avrei dovuto affrontare l'ira funeste di mio padre, altro che Achille.
«Venite o no?» ci richiamò Zayn, con la bocca piena di cibo.

 

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