Capitolo 8

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Tropical si fermò non appena superata la soglia. Che diavolo di posto era quello?

Dentro di sé ammise di essersi lasciata fuorviare dai pregiudizi, ma quello superava ogni sua più stramba aspettativa. Era nel posto giusto? Sì, quello era innegabile, aveva appena visto passare un uomo in lacrime che stringeva con tutte le forze un cuscino con il logo di Citycentre. La sua sorpresa nel trovarsi davanti una scena del genere la lasciò in una nube di perplessità, che si aggiunse a quella che l'aveva accolta all'esterno nel momento in cui era entrata.

Si avvicinò al bancone, sempre guardandosi intorno spaesata. -Ma, esattamente, chi è che fuma talmente tanto da creare la nube fino a lì fuori? Non vedo più nemmeno il fumo...- Chiese al barista, totalmente rapita dal luogo che la circondava.

L'uomo baffuto al bancone la osservò con il tipico sorrisetto paziente che si dipinge sul viso di chi parla con dei bambini. O con una ritardata che non capiva le cose basilari, cioè lei. -Tesoro mi sembra ovvio, è tutta un'illusione per tenere fuori quelli impressionabili. Questo locale è pieno di dolore, c'è bisogno di gente tosta per poter stare qui. La domanda è: tu sei abbastanza tosta?- la interrogò, congiungendo le mani e scivolando in avanti sul bancone, appoggiandosi sui gomiti. La tipica posizione di un ascoltatore presuntuoso e saccente.

Tropical incrociò le braccia nella sua modalità difensiva e si sentì immediatamente maldisposta verso quell'individuo così melodrammatico e predicatore. -Cosa credi? Che sarei cascata a terra non appena messo piede qua dentro, se anche fossi stata debole di psiche?-

-Certo che sì. Non hai visto i pilastri riempiti di lacrime pastorizzate all'entrata? Avrebbero messo ko qualunque provincialotto ignorante e debole emotivamente. Certo che le scuole di oggi non insegnano più a vivere.- L'uomo fece un grosso sospiro, probabilmente pastorizzato anche quello.

-Questa l'ho già sentita- alzò gli occhi al cielo lei. Poi, ricordandosi all'improvviso del suo accompagnatore di ghiaccio, si girò di scatto e si meravigliò di trovarlo vicino all'entrata. Lui non sembrava minimamente sorpreso dall'ambiente in cui si trovava. Non si scompose nemmeno quando un uomo gli corse davanti, gridò "rendiamo omaggio a citycentre" e, prendendolo per mano, gli fece fare ben tre giravolte. Lui si limitò a dire "che l'industrializzazione sia con te" e a spolverarsi le mani sui jeans.

La più stupefatta, evidentemente , era Tropical. Come avrebbe potuto immaginare che anche Arctic aveva abbastanza cuore o forza psichica da poter entrare in quel posto? E come sapeva cosa si doveva rispondere in quella setta di metropoliti? Il dubbio le si avviluppò intorno al cervello e diede una stretta alle ruote dei suoi criceti mentali.

Gli andò incontro, furiosa. Lui sapeva. Lei ora sapeva che lui sapeva. Lui, dal suo sguardo e dall'incedere sferzante, sembrò realizzare il fatto che lei sapeva che lui sapeva. Gli puntò un dito contro il petto. -Tu sapevi già di questo posto!-
Lui non negò.
- Perché diavolo non mi hai detto niente?- urlò lei, spingendolo verso una delle pareti che recitavano un misto di inni all'industrializzazione e frasi lacrimevoli sul lasciare la propria patria civilizzata.
-Non me l'hai chiesto.- fece spallucce lui, con una faccia da schiaffi.
Lei, vedendola, gli tirò uno schiaffo.
-Ahia! Ma quanto sei violenta oggi?- Chiese lui, massaggiandosi il volto.
- È solo il tuo Karma, uomo delle nevi. Tutto ti devo spiegare: è implicito che ci si comunichi informazioni importanti quando si sta per andare in un luogo perlopiù sconosciuto e dalla reputazione malfamata. - Buttò all'aria le braccia, esasperata. Poi si ricordò una cosa più importante.

- A proposito di preparazione, il barista mi ha detto che non possono entrare coloro che ignorano la sofferenza e sono quindi deboli emotivamente. Il fatto che tu sia entrato significa che hai sofferto molto? Che sei resiliente?- lo osservò in modo serio, ormai quietatasi. Non sapeva perché, ma l'idea di Arctic che soffriva intensamente le faceva quasi... pena? No, probabilmente il suo registratore di cassa interiore aveva sbagliato un calcolo, restituendole un resto emotivo sbagliato. Tutto ciò che doveva a quell'individuo era una brace spenta.

- No, ho solo comprato un simulatore di emotività su Justfake- rispose lui, mostrandole un oggetto sconosciuto a forma di ghianda.

Lei stava già per picchiarlo, quando lui aggiunse inaspettatamente - o forse ho sofferto più di quanto pensi.- Poi si allontanò da lei, dandole le spalle e segnando un punto per uscita di scena con effetto.

-Dove stai andando?- gli urlò dietro lei, spaesata dalla prospettiva di non poter sapere la verità su quel simil bipolare.

-Ho trovato l'unica persona sana qui dentro a cui chiedere di questo fantomatico soggetto che cercate. Vuoi venire a fare quello per cui siamo arrivati fin qui o vuoi continuare a fare la bambina?- La fulminò, prima di sparire nella rampa di scale che portava al piano inferiore.

A lei non rimase altra possibilità che saltellargli dietro.

Time to dieDove le storie prendono vita. Scoprilo ora