Chiusero la grata alle sue spalle con un tonfo metallico.
L'avevano isolata degli altri detenuti. Grazie alla sua morbosa opera aveva guadagnato il privilegio di una cella singola ed ora il suo spazio era limitato ad un rettangolo di un paio di metri quadri.
Si mosse fino ad appoggiare la fronte sulla fredda pietra della parete. Se si concentrava abbastanza da ignorare il rumore delle catene proveniente dal corridoio, riusciva a sentire il mare. Le onde sbattevano placidamente sulle mura portando nella cella non solo il loro ipnotico scrosciare, ma anche l'umidità che rendeva il freddo ancora più intollerabile. La prigione sotterranea doveva essere stata scavata nella scogliera.
Mosse le dita l'una sull'altra, stropicciandosi le mani e portandole al viso.
Adesso i suoi movimenti erano precisi e chiari, sentiva e controllava ognuno dei suoi muscoli come se non fosse successo nulla di insolito nelle ore precedenti.
In qualche angolo della sua mente aveva ancora la speranza di svegliarsi e trovarsi in locanda, nello stesso letto in cui si era addormentata la notte passata. Ma non erano questi i suoi soliti incubi e l'indolenzimento ed il dolore del suo corpo erano troppo forti per essere un'illusione.
Il suo burattinaio si era divertito ad usarla senza risparmiare nessun colpo e portandola oltre ai suoi limiti. Riusciva a distinguere ognuno dei muscoli forzati: le cosce doloranti per gli scatti, braccia e spalle dolenti a causa della furia con cui avevano diretto le lame nella carne. Stava tremando.
Massaggiò i bicipiti girandosi per cercare il conforto di una luce nel buio del sotterraneo.
«La cella non è di tuo gradimento?»
La guardia si beffò di lei, alzandosi dalla sua postazione per avvicinarsi.
Lo fissò stringendo le mascelle.
«Che hai fatto per finire qui sotto, bellezza?»
«Che hai fatto tu per avere un incarico così banale?» sputò al suo indirizzo. Allungò una gamba calciando la grata all'altezza delle mani dell'uomo.
Amareggiata, si rese conto di non averlo colpito mentre questi le alzava verso il petto in segno di tregua.
«Almeno non sono dietro le sbarre» affilò lo sguardo e rise ancora, arretrando mentre Elettra si dirigeva verso di lui e spingeva contro la porta per forzarla.
L'arrendevolezza aveva lasciato spazio alla rabbia: dopo cinque anni di carriera perfetta era stata sbattuta in carcere per azioni che non aveva nemmeno voluto compiere!
«Sei avvisata bambolina: meglio ti comporterai qui dentro, meglio verrai trattata quando dovremmo spogliarti, lavarti, nutrirti... Basta un brutto tiro e la tua permanenza qui dentro diverrà un inferno»
«Quando uscirò di qui sarete voi a bruciare» minacciò, alzando la voce. Le grate rimanevano immobili.
La cella sembrava progettata alla perfezione, ma doveva esserci un punto debole.
L'uomo scosse la testa, come se quelle parole facessero parte di un mantra già sentito e risentito allo sfinimento.
«Alice! Diane!»
Ignorò le sue urla e prese la torcia che aveva agganciato al muro al suo arrivo. Iniziò a camminare nello stretto corridoio allontanandosi da lei e controllando il resto dei prigionieri.
Il buio sommerse la ladra, soffocò le sue parole e cancellò le lacrime di rabbia che inclementi le sferzavano le guance. Batté i pugni sulla grata immobile, ottenendo solo nuovi lividi sul suo corpo maltrattato.
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Ombre di Ambra
AdventureElettra ha vent'anni ed è una ladra. Le sue sorelle d'acciaio e il profondo desiderio di libertà sono le uniche certezze nella sua vita, ma le Cappe Nere, gilda di ladri ed assassini per cui lavora, non sono intenzionate a lasciarla andare. Personag...