17. Imprudenza

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La locanda dell'Alce Nera era rinomata in tutta Nerish per essere luogo preferito dagli avventurieri: uomini per la maggior parte, elfi, piccoli abitanti della valle di Tzekal, nani e meticci di ogni sorta. Creature dal nebuloso passato e dal futuro sconosciuto approfittavano spesso della posizione strategica dell'edificio per concedersi qualche notte di riposo prima di ricominciare a viaggiare. 

La casa era posizionata nei pressi della porta Ovest della città, affacciata sulla Strada Bassa, in diretto collegamento con il porto e la piazza del mercato, ma sufficientemente lontana da essi per essere ancora immersa nei bassifondi, dove i controlli erano mancanti o altalenanti. Era per questa ragione che gli abitanti del quartiere avevano imparato ad essere cauti e ad evitare quello strano luogo: nonostante fosse aperta da anni non si erano ancora abituati a vedere facce deformate, corpi più flessuosi, più tozzi o colorati, rispetto ai propri. Gli stranieri erano pochi in mezzo agli umani, ma facevano paura. 

Anche quella sera, nella sala semibuia della locanda, l'avorio di un paio di corna rifletteva la luce delle lanterne, spiccando tra i capelli castani dell'uomo al bancone. Il lungo mantello sulle sue spalle celava allo sguardo degli altri avventori l'armatura di ferro che aveva ancora addosso, il gioiello pendente dal suo collo, l'arco che giaceva appoggiato alle gambe del tavolo. Non era il solo ad essere armato: sui corpi e ai piedi dei clienti le fiamme tremolanti delle lampade ad olio facevano brillare l'acciaio di borchie e di coltelli, l'oro di monete scommesse al gioco delle carte, la vitalità di occhi attenti o accesi dal troppo vino concesso nella pausa tra un'avventura e l'altra. 

Il tiefling appostato al bancone, la coppia di stranieri seduti vicino alla parete davanti alla loro cena, la tavolata di elfo, mezzuomo e due guerrieri, qualche bella donna ed il suo accompagnatore, i rumorosi giocatori d'azzardo che si erano impadroniti di un terzo della stanza al piano terra: in mezzo all'eterogenea accozzaglia il giovane con i capelli argentati riusciva ad apparire quasi anonimo. Il liquido della bottiglia vuota che sostava rovesciata davanti a lui l'aveva aiutato a coinvolgere una cameriera nelle sue chiacchiere rendendo la sua serata meno solitaria. Gesticolava raccontando delle sue avventure con un bicchiere sospeso in una mano e l'altra allacciata alle spalle della giovane biondina che ridacchiava, divertita, nel suo attimo di pausa. 

«Mentre il mago e l'assassina, loro non hanno fatto niente!» Qualche parola più forte attraversava l'ambiente, arrivando alle orecchie degli altri avventori. Veniva ignorato, dai più. «Lei era totalmente impazzita: se non fosse stato per me avrebbe ridotto la compagnia a brandelli.» Dai più, ma non da tutti. Attirata da quelle chiacchiere avventate, una donna scambiò un'occhiata con il suo accompagnatore congedandosi da lui. 

«Rimani qui» Scivolò tra i tavoli e gli invadenti clienti con leggerezza fino a raggiungere le spalle del giovane. 

«Da dove vieni, straniero?» posò le mani sulle sue spalle in una stretta delicata, sporgendosi contro di lui. I suoi capelli neri, sciolti in morbidi ricci si confusero con la sua bianca capigliatura come onde scure sul mare argentato, un mare in tempesta illuminato dalla luna. Espirò, lasciva, contro la pelle del ragazzo, intiepidendola, e percepì i suoi muscoli contrarsi in un sorriso. 

«Edua. Mi chiamo Blanc» 

La donna fissò la cameriera che nella pausa si era seduta di fianco a lui e sorrise all'oste dietro al bancone che la credeva una puttana. Lui ghignò, soffermandosi per un attimo su una delle sue mani, scesa lungo il braccio dell'avventore in una lieve carezza. Se il cliente era felice e pagava la stanza, andava bene anche a lui. 

«Cosa ci fai in questa bettola della capitale? Le chiacchiere degli avventurieri sono sprecate con le cameriere» 

Il ragazzo ghignò, ebbro di vino e di orgoglio, voltandosi per riuscire ad osservare la creatura di cui aveva attratto l'attenzione. La sua risata si spense lentamente lasciando posto ad un sordo stupore man mano che l'elegante figura appariva nel suo campo visivo. Un tessuto scuro fasciava il busto della donna cadendo morbidamente lungo gli ampi e sinuosi fianchi e stringendosi sulla sua vita con una fascia orlata di filo dorato. La stessa stoffa decorava il bordo delle maniche a sbuffo e l'ampio scollo che lasciava poco spazio alla fantasia del ragazzo, permettendogli di intravedere un seno pieno e morbido. Come se il suo corpo ben proporzionato non fosse abbastanza da spezzare la volontà di ogni uomo, una cascata di capelli neri d'ebano precipitavano contro la pelle lattea, illuminandola ancora di più e sottolineando i lineamenti delicati del volto, su cui spiccavano, rosse delle labbra carnose piegate in un sorriso.

Ombre di AmbraDove le storie prendono vita. Scoprilo ora