22. Gratitudine

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Strinse le mani sul mantello per tenerlo chiuso, trascinandosi un passo dopo l'altro lungo le mura delle case di Alden. Sentiva di non avere più molti passi a disposizione: respiro corto, troppo poco sangue in circolo. 

Quante persone aveva visto morire dopo essere arrivate ad una condizione del genere?

Devi essere qui. 

Picchiettò leggero sullo stipite della porta con il ritmo prestabilito. 

Devi esserci. 

Si lasciò scivolare lungo la parete e premette ancora i vestiti per cercare di fermare il sangue. 

«Galena?» 

Un respiro mozzato gli fece capire che l'aveva visto. 

«Che diamine ti hanno fatto?» 

Riuscì solo a mormorarle di stare zitta mentre la ragazza lo aiutava ad alzarsi e lo faceva entrare e stendere da qualche parte. 

«Resta sveglio, Grey, hai capito? Se ti addormenti me la pagherai cara» 

Non riusciva a tenere gli occhi aperti o ad afferrare il significato di quelle parole che scivolavano veloci fuori dalla sua mente. 

«Per gli dei» 

Doveva avere scostato il mantello e la stoffa.

La frenesia di Elettra ed il suo rovistare nella sua sacca e tra le sue cose erano così flebili da sembrare onde leggere sulla sua pelle, ma gemette di dolore quando lei gli strappò i vestiti dal corpo, ormai uniti ad esso con il sangue coaugulato. Si sentì riempire la bocca di qualcosa di troppo freddo. Aveva un sapore familiare, sapeva di dover bere, ma il bruciore che gli inondò la bocca lo fece tossire con forza tale che Elettra dovette obbligarlo ad ingerire quanto più liquido possibile. 

«Continua a bere» 

Non avrebbe potuto opporsi. Si lasciò guidare come un bambino ed abbandonò il poco di consapevolezza che gli era rimasto piombando in un sonno senza sogni.


* * *


Elettra si passò le mani sugli occhi, sforzandosi di trovare la forza per rimanere sveglia ancora un minuto in più. Era da quando si era addormentato che stava misurando il tempo, contando i secondi, le ore. 

Aveva dovuto svaligiare la casa del funzionario di cui si era improvvisata ospite per procurarsi il tessuto necessario a fasciare la ferita di Grey e aveva finito la scorta di pozione che aveva preso con sé. Non era preoccupata di essere nell'abitazione di altri: la casupola sarebbe sembrata chiusa a chiunque ed il suo proprietario sarebbe tornato in città di lì ad una settimana. Era più che abbastanza per sperare che Grey fosse almeno in grado di camminare da solo. 

Si avvicinò al moro con lentezza e gli appoggiò una mano sulla fronte tiepida. La temperatura era costante: ottimo segno. Avrebbe potuto anche svegliarsi però... Sfilò un rimasuglio bianco intrappolato tra i suoi ricci e lo gettò insieme alle schegge che gli aveva tolto dalle mani: porcellana e vetro colorato di stoviglie spaccate in un milione di pezzi.

Sospirò piano sfiorandogli i capelli per accertarsi che non ci fossero altri frammenti pericolosi. Socchiuse le labbra, di nuovo affascinata dalla recente scoperta. La sua chioma era morbida più di quanto avesse mai pensato. 

Aveva paura di quello che le avrebbe detto una volta ripresa conoscenza. Fuori dalle mura che li circondavano avrebbe potuto esserci colui che l'aveva ridotto in quelle condizioni in attesa della minima traccia necessaria per scovarli e terminare la sua opera. Gligar poteva essere ovunque. Lei poteva solo assicurarsi che Grey non peggiorasse, usare le conoscenze apprese quasi involontariamente da sua madre per un fine proficuo, continuare a sperare ed essere pronta a qualsiasi cosa. 

Ombre di AmbraDove le storie prendono vita. Scoprilo ora