37. Alleanza

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Canticchiò tra sé mormorando poche sillabe. Quella piccola mania la aiutava a rimanere concentrata. Le riempiva la mente che sentiva spesso vuota e leggera mentre eseguiva i lavori che il padrone le aveva ordinato di portare a termine. 

Allungò il mestolo immergendolo nel contenitore bollente. Lo portò alle labbra e soffiò con cautela per assaggiare il risultato della sua cucina. Soddisfatta sorrise e riprese a gorgheggiare. Tolse il pentolino di rame dal fuoco e, attenta a non scottarsi, versò il contenuto in un paio di eleganti tazze di ceramica. Le preferite del padrone. Preparò il servizio e, dopo aver ravvivato i propri capelli affinché cadessero morbidi sulle spalle, prese tra le mani il vassoio d'argento e si diresse nella sala, zittendosi. 

Tenendolo in equilibrio su un palmo oltrepassò la porta aperta camminando su un lungo tappeto decorato, soffermandosi per un attimo sui suoi ospiti. Il padrone era immerso nella sua poltrona, già spogliato del cappotto invernale con cui era uscito poco prima; nella stanza illuminata dal focolare acceso aveva quel giorno la compagnia di un uomo. 

«...la necessità di qualcuno come te, che sappia lavorare sulla loro mente senza far loro troppo male: ci sarà bisogno delle loro formule, delle loro parole e delle loro mani perché né io, né te sappiamo svolgere...» 

Egli non si era seduto: rimaneva in piedi, ad un passo dalle braci, e le fiamme rosse e dorate si riflettevano sui suoi capelli ricci e sui suoi abiti eleganti. Il ticchettino delle scarpe contro il pavimento di pietra lo fece girare. 

«...il lavoro di chimici» 

Il fuoco lasciava traccia anche nei suoi occhi scuri, animando il viso altrimenti immobile e serio. Senza mantello metteva in mostra l'abbigliamento di un ricco, una cintura di pelle, un pugnale, una frusta. La sua bocca si serrò in una linea sottile e sospettosa. 

Lei l'ignorò, porgendo una delle tazze verso la mano già levata di Gabriel. Con un sorriso senz'anima, uguale a tutti gli altri, posò con delicatezza il vassoio sul basso tavolino al centro della stanza. Dalla tazza fumante appoggiata su di esso si propagava il forte aroma di alcol e spezie del Kelyr, una bevanda calda tipica della penisola di Faygver. 

«Ti prego, Grey, prosegui» 

Il criminale rimase in silenzio. Il padrone di casa sembrava completamente a suo agio mentre la ragazza, bionda, formosa e vestita di un succinto abito da serva, si recava in fondo alla stanza e prendeva posto su una misera sedia di legno, continuando a guardarli con degli immensi e vuoti occhi azzurri. 

«Bianca, va' di sopra. Stai infastidendo il signor Rosebrew» Gabriel proferì l'ordine senza voltarsi e le sue parole furono immediatamente seguite dall'azione della donna. 

Grey la guardò svanire nell'ombra del corridoio accompagnata dallo stesso silenzio con cui era entrata, quindi osservò il mago intento ad allungarsi sulla poltrona per sgranchire le membra indolenzite. «Chi è?»

«Non fare caso a lei. É parte dell'arredamento» 

Il moro arricciò il naso, perplesso dalla risposta. Ignorando la bevanda appoggiò la destra sul cornicione del focolare sfiorando la pietra ancora fredda per sedare il caldo fastidio dovuto all'interruzione. Riprese, portando lo sguardo sui tizzoni ardenti su cui la fiamma si era già esaurita. «Dopo che avremo scoperto quanti e quali sono i perversi autori della formula di cui sto cercando informazioni e dopo che avremmo verificato la correttezza del loro antidoto, allora te ne lascerò alcuni come cavie per i tuoi esperimenti» 

«E gli altri?» 

Grey sorrise dolcemente, rizzandosi e rivolse a lui gli occhi. «Li ucciderò» 

Ombre di AmbraDove le storie prendono vita. Scoprilo ora