44. Sorella

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Elettra deglutì a vuoto, impotente, mentre Grey precipitava a terra senza forze e lì vi rimaneva, immobile. Una voragine senza fine le si spalancò nel petto, ma non ebbe tempo di caderci: il luccichio dell'acciaio la fece spostare di lato evitando il pugnale ora conficcato sul materasso dove avevano dormito. Sbatté le palpebre confusamente, senza sapere se puntare lo sguardo sulla donna in piedi sulla soglia o l'uomo steso ai suoi piedi. 

Jasmine si chinò sul corpo immoto premendo l'indice e il medio sul suo collo nascosto da riccioli e dalla stoffa scura del mantello. Si rialzò in piedi e lo scavalcò con noncuranza guardando finalmente la giovane addossata contro il muro ed annichilita dal terrore. 

«É andato» spiegò, osservando con una punta di compiacimento la disperazione apparire su di lei come un vuoto dentro gli occhi ed un respiro mancato e ripreso a tentoni con altri più veloci. Elettra non era cambiata affatto. 

Le si avvicinò senza esitare, notando con la coda dell'occhio le sue mani rattrappirsi sulle else delle sue armi nonostante la mancanza di lucidità. Un graffio, poco più, e sarebbe finita a terra come il suo ragazzo. 

Saggiò il peso del lungo pugnale ricurvo sfilandolo dal fodero sotto alla cappa e prese la mira. Il colpo diretto al centro del suo petto venne bloccato dall'incrocio di lame argentate: con un clangore acuto si aprirono verso l'alto facendo deviare la traiettoria fin sopra la sua testa. Jasmine arretrò di un passo impedendo alla ladra di contrattaccare ed acuendo lo sguardo in un moto di disappunto. Non attese e ricominciò con l'offensiva esibendosi in slanci ed affondi ben piazzati con lo scopo di saggiare la tecnica della sorella che si limitava a muoversi e parare in un ripetitivo schema collaudato. 

Le sorelle si staccarono osservandosi l'un l'altra come bestie dal destino già segnato: Jasmine voleva la supremazia, Elettra arrancava, ritirandosi in sé stessa come un animale ferito. La maggiore inclinò il capo verso una spalla sciogliendo i muscoli del collo: combattere le ricordava i pochi anni in cui era stata al servizio del Maestro di Lame. Sebbene noioso, era stato tremendamente istruttivo. 

Con il respiro già rotto da un accenno di fiatone la ladra fissò la sorella e l'arma che teneva con la destra: la lama riluceva opalescente, sporcata da un sottile strato di una sostanza untuosa e trasparente. Veleno. Doveva liberarsene. 

Soffocò il dolore piantato come spilli nel suo petto e strinse le labbra percependo l'odore metallico del sangue giungere a lei, portato dalla folata di vento spirata dalla porta aperta.  

Grey.

Doveva assicurarsi che fosse vivo. Jasmine aveva sempre detto un sacco di bugie. 

Un fendente la fece sobbalzare costringendola ad una rapida ritirata: ripose le proprie armi nei foderi arretrando fino alla cassettiera ed afferrò lo specchio argentato per tirarlo addosso alla sorella. Il rumore sordo del piatto che sbatteva a terra le fece capire come il suo tentativo fosse stato vano. 

«Sei patetica» 

Mosse il capo a scatti cercando nervosamente qualcosa a cui appigliarsi per aver salva la vita. Con un passo alla sua destra afferrò la fascia di velluto scuro che nascondeva la finestra strappandola dal sostegno: la tese tra le mani e lasciò che Jasmine la penetrasse con colpo sicuro. Ruotò le braccia attorno alla lama avvolgendola il più possibile e mollò la presa guardando la sorella trascinare insieme all'arma anche il pesante pezzo di stoffa. Jasmine lacerò il tessuto con un gesto secco e digrignò i denti con rabbia constatando grazie al riflesso più limpido dell'acciaio come la sua infida arma avesse perso addosso al panno il veleno di cui era stata cosparsa. 

La raggiunse, inviperita. «Avrei dovuto ucciderti quel giorno» soffiò tra le labbra, colpendola alla spalla di striscio e spingendola contro il mobile di legno. 

Ombre di AmbraDove le storie prendono vita. Scoprilo ora