Capitolo Quattordici - Ti prego, perdonami

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04_Agosto_2011
Sofia Pov

Tutte le sere. Con un dolce, un film, una birra, aveva citofonato da me. Alberto Lucchetti cercava di farsi conoscere, parlavamo di stronzate, discutevamo di lavoro e ci divertivamo e poi ce la stava mettendo tutta per cercare di conquistarmi, ma non ci sarei cascata. Tata, però, era dell'avviso contrario:

"Io me lo farei per ore uno così, fino a sentirmi morire! Bonelli è figo, sì, ma lui è un Dio! Ti spoglia con gli occhi, immagino cosa potrei urlare sotto di lui! Edoardo si meriterebbe proprio che ti facessi il suo amico sotto il suo naso! Ad uno così, non puoi non dare una possibilità, è una settimana che viene qui e pende dalle tue labbra, secondo me non vede l'ora di strapparti i vestiti e sbatterti su questo divano!"

"Ho capito cosa intendi, Tata..."

"No, non hai capito! Se non fossi mia amica, io ci proverei spudoratamente e mi farei dare una gran bella ripassata!"

"Lo puoi fare, non sono interessata..."

"Sofì! Cazzo! Non mi dire così altrimenti lo faccio!"

"Tata, davvero, stasera andiamo a mangiare una pizza, vuoi venire?"

"No, lo devo circuire nel mio territorio. La prossima volta che viene a casa, te ne vai ed io me lo lavoro per bene!"

"Ok, tranquilla"

"Sei un tesoro, Sofì! Già non sto nella pelle!"

No, non ci sarei cascata, non con lui, non una seconda volta. Era identico al suo amico, uno stronzo patentato; anche se in alcuni momenti avevo avvertito che c'era qualcosa sotto quella faccia da bastardo impenitente.

Quella sera, insieme alla pizza, avevo bevuto un po' di più, perchè il pensiero di Edoardo mi stava mangiando il cervello: aveva chiamato a lavoro e aveva cercato di contattarmi tramite la segretaria, ed io, con delle scuse non avevo risposto; e poi aveva chiesto anche ad Alberto di me e di dirmi di richiamarlo.

Eravamo sul lungotevere e passeggiavamo; ero brilla e dissi di Tata ad Alberto:

"Tata è particolarmente interessata a te...se capisci cosa intendo..." gli dissi puntadogli il dito e guardandolo da vicino.

"Certo che capisco, è interessata a me come il 97% delle donne..."

Risi "Il 97 eh! Modesto!E il restante tre?"

"Il restante siete tu ed i miei parenti!"

Scoppiai a ridere "Sei proprio uno stronzo, lo sai!?"

"E tu sei brilla... e sei bella..." rispose sussurrando le ultime parole e avvicinandosi di più.

Sapevo dove cercava di arrivare ed ero perfettamente cosciente anche da brilla.

"Fai lo stronzo ma non sei stronzo, sento che non sei così...cosa c'è qui dentro, Lucchetti?" mormorai picchiettandogli sul cuore, con l'indice.

Lo osservai corrucciare lo sguardo e assottigliare gli occhi, sospirò e disse:

"Un buco. Un buco enorme. Lasciato da mia madre. Mio padre non so chi sia, non mi ha riconosciuto. Mia madre mi ha cresciuto con l'aiuto di mia nonna. E pur provenendo da una famiglia agiata mi ha sempre insegnato il sacrificio e il rispetto"

Sospirò ancora, poi slacciò lo sguardo dal mio e si girò a guardare il Tevere scorrere sotto di noi.

"Tutto è cambiato quando lei è morta, ho dovuto prendere la mia vita e rivoltarla completamente. Ero al primo anno di architettura e ho cambiato facoltà per avere la possibilità di dare giustizia ad altri, dopo che io non l'ho avuta;, per far pagare la pena a coloro che commettono incidenti, perchè l'omicidio stradale non è ancora reato. Un ubriaco non si è fermato al semaforo rosso e ha tagliato la strada a mia madre, prendendola in pieno. Chi causa incidenti in cui ci sono vittime, dovrebbe pagare la sua colpa per il resto della vita!"concluse sollevando di poco il tono.

A quelle parole rivissi la mia colpa e mi sentii male. Mi allontanai poco e dissi:

"Riportami a casa per favore, non mi sento bene..."

"Ma..." rispose riportando lo sguardo su di me "...va bene"

In macchina non dissi una parola ed anche lui non disse nulla. Appena arrivati scesi e lo salutai a malapena, lasciandolo di sasso; salii di fretta, mi chiusi in bagno e diedi di stomaco.

05_Agosto_2011
Alberto Pov

Avevo provato a chiamarla subito dopo, ma il suo telefono era spento. Aveva avuto una reazione così strana, a tratti inspiegabile. Io le avevo aperto il mio cuore, rivivendo il mio dolore solo perchè lei era andata oltre il mio aspetto fisico e mi aveva letto dentro; e al mio racconto lei era fuggita, ma prima ancora si era irrigidita e aveva serrato la bocca. Non capivo, ripercorrevo le sue parole e le mie e c'era qualcosa che non quadrava.

Non so cosa mi spinse a farlo; ma feci quella ricerca, e alle parole Sofia Ambrosini unita alla parola incidente comparve la risposta alle mie domande. Non potevo crederci. Dovevo parlarle assolutamente.

L'indomani arrivai prima a lavoro e la aspettai nel suo ufficio. Non appena entrò, sobbalzò e bofonchiò:

"Che ci fai qui? Mi è preso un colpo!"

"Devo parlarti, è importante..."

Con estrema lentezza entrò, posizionò le sue cose e cambiò gli occhiali da sole, quindi si posizionò davanti a me.

"Più ti conosco e più mi rendo conto che siamo più simili di quanto credevo. Non ho mai condiviso il mio dolore con nessuno, tanto meno con qualcuno che lo avesse provato sulla sua pelle..." a quelle mie parole, sgranò gli occhi e iniziò a scuotere la testa.

Allora la afferrai per le braccia e sussurai "Sofia, mi dispiace per le parole di ieri, perchè ti hanno ferito, ma tu non hai scelto di fare quell'incidente, quel tizio era consapevole che stava passando con il rosso..."

"Lasciami" disse soltanto "Lasciami stare, sono un'assasina e devo pagare la mia colpa!"

"Non sei un'assassina, Sofia, non lo sei" le sussurrai ad un palmo dal suo viso.

In quel momento i suoi occhi provati iniziarono a versare lacrime ed ero io, il solo responsabile.

"Sofia, ti prego" bisbigliai e la tirai verso di me, stringendola al mio petto con forza perchè continuava a divincolarsi ed agitarsi "Ti prego, perdonami... e perdonati..."continuai a sussurrarle mentre i suoi movimenti piano si affievolivano.

"Mi dispiace tanto" dissi ancora piano "Il tuo destino è stato più crudele del mio e tu non lo meriti..."

Avevo la faccia appoggiata sulla sua testa e il profumo del suo shampoo dolce mi saliva nel naso, i singhiozzi iniziavano a calmarsi, le misi le mani sulle guance e le sollevai il viso, annegando nelle lacrime di cui erano pieni i suoi occhi.

Avrei voluto poter cancellare, dal suo cuore, il macigno di dolore che portava; avrei voluto portare io, quella colpa che la stava divorando. Avrei voluto avere il potere di calmare la sua tempesta; avrei voluto essere io, la quiete di quella tempesta.

Amami come Mai © #Wattys 2020Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora