Capitolo Trentasei - Tuo

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15_Gennaio_2013
Alberto Pov

L'avevo convinta ad andare a casa con la scusa che avrei parlato con Lucrezia, per sistemare le cose e convincerla ad accettarla. Lei era stremata e mi aveva chiesto solo, di non portarla a casa di Edo, che ormai era casa loro, ma nella sua vecchia casa, da Tata e Nali. E così feci; parlai con le sue amiche, e le pregai di farla mangiare e dormire, ci scambiammo i numeri di telefono e poi promisi a Sofia che sarei passato a prenderla l'indomani mattina presto. Quindi tornai in ospedale per parlare con Lucrezia.

Le dissi che Edoardo non l'avrebbe mai perdonata se avesse continuato a trattare Sofia in quel modo, che erano davvero innamorati e che non avevo mai sentito suo figlio parlare così e amare una persona tanto profondamente. Ci volle molto tempo ma alla fine giunse alla conclusione che lei, comunque, non accettava quella relazione e che avrebbero dovuto stare vicino ad Edo in orari diversi. Ero stanco di discutere e annuii.

Quindi, quando lei andò via, mi sedetti sulla sedia di fianco ad Edo; e mentre gli chiedevo scusa per essermi comportato da geloso e averlo ignorato, crollai prima in lacrime e poi in un sonno profondo.

16_Gennaio_2013

Mi svegliò un'infermiera che doveva rilevare i parametri di Edo. Erano le sette del mattino e tutto era esattamente come l'avevo lasciato sei ore prima, anche lui. Sospirai e presi il telefono per scrivere a Sofia.

'Spero tu abbia dormito un po'. Appena vuoi ti vengo a prendere e ti porto in ospedale'.

Lei rispose quasi subito:

'Puoi venire adesso'
'Grazie'

Salutai il mio amico, sperando che al mio ritorno fosse stato sveglio e mi gettai nel traffico mattutino di una Roma ancora mezza assonnata.

Lei non lo era. Era evidente, invece, che non aveva chiuso occhio. Era pallida e aveva le occhiaie scure ed i suoi occhi erano ancora vuoti, nonostante fossero coperti con gli occhiali scuri. Durante il tragitto parlammo solo di quello che mi aveva detto Lucrezia e lei annuì come se già sapesse cosa aspettarsi: le mattine sarebbero state di Sofia, i pomeriggi di Lucrezia, le notti, quest'ultima non le aveva nemmeno considerate.

"Almeno le notti saranno ancora solo nostre..." biascicò Sofia e poi si rinchiuse nel silenzio.

Avrei voluto dirle tante cose, avrei voluto chiederle, tante cose; ma non ne ebbi il coraggio. La accompagnai fino alla porta della terapia intensiva e le dissi di chiamarmi per qualsiasi cosa. Lei mi sussurrò un grazie e se ne andò.

17_Gennaio_2013

Erano le otto di mattina ed ero sotto casa di Sofia ad aspettarla. Mi aveva mandato un messaggio solo tre ore prima, dicendomi che aveva preso un taxi, per tornare a casa e fare una doccia e se volevo alle otto potevo passare a prenderla. Aveva passato tutto il suo tempo disponibile vicino a lui, solo quando era stata costretta da Lucrezia, nel pomeriggio, si era allontanata ma era andata in studio per cercare di arginare la situazione vista la mancanza di Edoardo.

"Se hai bisogno di aiuto, in studio, posso venire a darti una mano in questi giorni. A Milano se la cavano benissimo da soli, ho lasciato gente di fiducia." Le avevo detto poco dopo, prima di arrivare in ospedale. Lei ancora aveva annuito. La lasciai lì, come il giorno precedente e mi diressi allo studio.

Sofia Pov

Erano solo due giorni che era lì, disteso, immobile e sembravano passati anni. Lo accarezzavo, gli parlavo e lo pregavo di aprire gli occhi per poterli vedere. Poi piangevo e subito dopo smettevo, perché doveva sentirmi forte e non impaurita al suo fianco, per poter trovare, lui stesso, la forza di svegliarsi.

Lasciai l'ospedale poco prima dell'arrivo di Lucrezia. Non avrei retto questa storia per molto, assecondavo lei e la sua cattiveria solo per Edoardo, perché ero certa che non avrebbe voluto che litigassimo.

Quando arrivai allo studio, Alberto era lì che si dava da fare ed io apprezzavo quello che stava facendo. Entrai nel mio studio e trovai un mazzo di tulipani rosa pallido sulla scrivania. Presi il bigliettino e lessi:

'Buon Compleanno Amore Mio.
Questo è solo un un'anticipo del tuo regalo, il resto ti aspetta stasera a casa.
Tuo Edoardo'

Il respiro mi si bloccò per lunghissimi istanti, quindi ripresi a piangere. Come sempre, aveva pensato a tutto. Il cuore implose ed io avvertii prepotente il bisogno di sentirlo, di stare con lui e l'unico posto in cui desiderai andare in quel momento fu casa nostra. Presi la borsa, uscii di corsa e per poco non travolsi Alberto.

"Che c'è Sofia? Cosa succede?" mi chiese preoccupato.

"Ho bisogno di andare a casa...a casa nostra..." sussurrai.

"Ti accompagno io" disse solo ed io non risposi e lo anticipai.

La casa era esattamente come l'avevamo lasciata quella maledetta mattina. Il letto sfatto, i miei vestiti sparsi sopra, la porta della cabina armadio ancora aperta. Rimasi sulla soglia della camera e non mi mossi finché Alberto mi domandò se avessi bisogno di lui. Lo guardai un attimo e scossi la testa. Lui rispose che mi avrebbe aspettato in salotto ed io feci il primo passo nella camera. Quindi entrai nella cabina e il suo profumo, di cui i suoi abiti e le sue camicie erano impregnati, mi invase le narici. Ebbi un tracollo e dovetti appoggiarmi alla mensola di vetro attraverso la quale si intravedevano le cravatte. Tirai fuori quel cassetto e l'occhio mi cadde sulla cravatta blu, la mia preferita, nonché quella che gli avevo slacciato la sera in cui, forse, mi ero accorta la prima volta di essere pazza di lui.

Era sollevata rispetto alle altre e nascondeva sotto qualcosa. La alzai e vidi una scatolina marrone e sotto di essa, un foglietto ripiegato. Posai la scatola sulla mensola e aprii il bigliettino con la mano tremante.

'Ciao amore mio, se stai leggendo questa lettera è perché io sono inginocchiato davanti a te e non riesco a parlare'

A quelle due righe le gambe si fecero molli e crollai sul parquet. Gli occhi si offuscarono e le lacrime iniziarono a bagnare le parole della sua bella grafia. Alzai la lettera in modo da non bagnarla e continuai:

'Sei arrivata come un tornado, da quella notte del tuo compleanno, in cui, da sconosciuti, mi hai chiesto un bacio. Poi il destino ti ha rimesso sulla mia strada portandoti nel mio studio. Ma io non ero pronto, non ti ho riconosciuto, o forse non ho voluto perché la tua caparbietà e la tua forza mi facevano vacillare. Ero troppo debole e probabilmente non mi sentivo adatto a te; ma la tua dolcezza poi ha brillato, quella sera in cui mi hai sciolto la cravatta e mi hai scompigliato i capelli ed io ne sono stato travolto completamente ed inevitabilmente. Da allora la mia vita non è stata più la stessa. Io non sono stato più lo stesso. Il tuo amore mi ha cambiato, mi ha reso migliore e mi ha riempito. Tu sei la persona migliore che abbia mai avuto accanto, la più forte ma allo stesso tempo la più fragile e ti amo come mai ho amato nessuna e voglio dirlo al mondo intero. Per questo voglio che diventi mia moglie e te lo chiedo oggi, a distanza di anni dal nostro primo bacio: Sofia, vuoi farmi l'onore di sposarmi? Guardami negli occhi, punta i tuoi meravigliosi occhi scuri nei miei e dimmi solo sì. Tuo, sempre e per sempre, Edoardo'

Amami come Mai © #Wattys 2020Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora