Capitolo Trentasette - Il nome di qualcun altro

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20_Febbraio_2013
Sofia Pov

Quella sera, non appena finii di leggere la lettera, urlai con quanto fiato avevo in corpo ed Alberto accorse in fretta e mi prese tra le braccia, mentre io continuavo a dimenarmi e gridare. Non mi chiese, né disse nulla ma cercò di calmarmi solo con le sue braccia e le sue mani. Io non aprii quella scatolina, anzi, la riposi nel cassetto e tenni con me la lettera, come una reliquia indispensabile, portandola con me ovunque.

Era passato più di un mese dall'incidente e la situazione era la medesima. Edoardo non peggiorava né migliorava ed io passavo lì, con lui, tutto il tempo che potevo: gli parlavo, gli baciavo le braccia e le mani, lo aiutavo con la fisioterapia, lo lavavo e avevo imparato anche ad accorciargli la barba. 

Per il resto cercavo di stare dietro allo studio come potevo, grazie all'aiuto di Elena, Marco e Beatrice. Alberto era onnipresente con me, ogni tanto tornava a Milano ma dopo massimo tre o quattro giorni ritornava da noi. Tata e Nali si prendevano cura di me e della mia salute. E purtroppo, anche la situazione con Lucrezia era sempre la stessa.

Io mi ero ritrasferita a casa mia, non ero più tornata a casa nostra dopo la sera della lettera. Però quella sera uscii prima dallo studio e senza pensarci guidai fino a lì. Quando me ne accorsi avevo appena parcheggiato di fronte al portone; forse era stato Edoardo stesso a volermi lì, allora decisi di andarci.

Accesi le luci basse del corridoio e piano feci il giro della casa: ogni passo, ogni stanza apriva in me un cassetto, dal quale, come un ologramma, un vivido ricordo si componeva alla mia vista. Noi due nel corridoio dopo la cena di beneficenza, noi due nella cucina a preparare la cena della vigilia, noi due nel salotto a coccolarci sul divano, noi due nel bagno sotto la doccia insieme, noi due in camera sul nostro letto a fare l'amore.

La testa rischiava di scoppiarmi, mi misi le mani tra i capelli e corsi al lavandino per bagnare i polsi prima di rischiare di svenire. Brividi di freddo mi percorsero tutto il corpo, nonostante non avessi tolto il cappotto, quindi andai in salotto e decisi di accendere il camino a bioetanolo.

Mi sedetti sul tappeto davanti al camino e bloccai i pensieri fissando le fiammelle che si agitavano veloci; solo quando sentii sbattere forte la pioggia sulla vetrata del terrazzo, mi accorsi che fuori si stava scatenando un temporale, con tanto di lampi e tuoni. Questi ultimi mi agitarono e iniziai a sentirmi insofferente, ingabbiata e sola in quella casa enorme. Fui presa dal panico e chiamai Alberto che era l'ultima persona che avevo visto allo studio.

"Sofia, dimmi" rispose subito.

"Scusa, Alberto...io...sono a casa di Edoardo... ha iniziato a tuonare, a piovere a dirotto e...sto per avere un'attacco di panico..."

"Respira...Arrivo" disse solo.

Alberto Pov

Mi precipitai da lei. Al telefono l'avevo sentita terrorizzata e sapevo che avrei potuto tranquillizzarla.

Quando venne ad aprirmi era stretta nel cappotto ma tremava come una foglia ed era pallida come un cencio.

"Scusa...se ti ho chiamato...grazie per essere venuto con questo tempo..." mormorò dirigendosi verso il salotto.

"Non ti preoccupare...piuttosto dimmi dove posso trovare una coperta"

Andò verso le camere e tornò con una coperta tra le mani. Ci sedemmo davanti al camino, coprendoci. Lei continuava a tremare e senza pensarci minimamente, le passai il braccio sulle spalle e la avvicinai a me, stringendola.

"Grazie" la sentii sussurrare.

Appoggiò la testa sulla mia spalla e io appoggiai la mia sulla sua testa.

Ero proprio uno stronzo perché in quel momento avrei dovuto sentirmi di merda, invece stavo da Dio, vicino a lei, respirando il profumo dei suoi capelli.

Mi odiavo perché mi sentivo così, mi odiavo perché, mentre il mio migliore amico era in coma, io pensavo a quanto stessi bene con la sua donna, al mio fianco. Avevo sbagliato a raggiungerla, avevo sbagliato ad abbracciarla. Forse avrei dovuto preservarmi.

Stavo solo continuando a logorare le mie ferite intrise della voglia di lei. Ma non riuscivo a staccarmi, era come se una forza sconosciuta mi ci tenesse incollato ed io fossi incapace di contrastarla.

"Grazie Alberto... per la tua presenza, per la tua vicinanza, per come ti fai in quattro per aiutarmi qui a Roma e per continuare a portare avanti anche lo studio di Milano" mi disse piano.

"Edo se lo merita e so che anche lui farebbe lo stesso per me. Mi ha dato sempre la sua massima fiducia, senza chiedere nulla in cambio, è il minimo che io possa fare per ripagarlo" risposi con un groppo in gola.

Lei sospirò pesantemente e confessò: "Ogni ora di ogni giorno, da quando mi sveglio fino a che vado a dormire, credo e spero che arrivi una telefonata che mi dica che Edoardo si è svegliato... ma poi, quando mi addormento, sogno l'esatto contrario...quella telefonata mi dice che non si sveglierà più ed io, di soprassalto, realizzo che è solo un sogno e non riesco più a prendere sonno...Mi manca, mi manca come l'aria. Vivo per tutto il tempo senza respirare da quando non mi guarda, non mi tocca, non mi sorride più ..." e così dicendo si spinse più verso di me come se avesse bisogno di nascondersi o di ripararsi.

Io restai immobilizzato, solo le mie dita che le tenevano la spalla si tesero maggiormente. Avrei voluto dirle che sapevo benissimo come si sentiva, che da che l'avevo lasciata ed ero tornato a Milano, lei mi era mancata come l'aria e avevo vissuto per tutto il tempo senza respirare da quando non mi guardava più, non mi toccava e non mi sorrideva più.

Ma non dissi nulla, sarei stato un maledetto egoista se lo avessi fatto e le lasciai solo un bacio leggero tra i capelli; pregando, nella mia mente, che Edoardo si svegliasse presto, per risparmiarle tutta quella sofferenza.

Ero scappato per fuggire da lei e da quell'amore che sentivo e che non avevo mai sentito tanto forte e rumoroso dentro di me. Ma ero stato travolto comunque e la amavo.

La amavo così tanto che l'unica cosa che desideravo ora, era vederla felice, anche se la sua felicità aveva il nome di qualcun altro e non il mio.

Sprazzi d'autrice
Sono capitoli molto duri anche per me. Ma non posso rinnegare dove mi sta portando questa storia e spero che continui a prendervi e piacervi ❤

Grazie a tutti voi che mi state seguendo costantemente

Amami come Mai © #Wattys 2020Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora