Capitolo Quattro - Quale demone ti porti dentro

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21_Giugno_2011
Sofia Pov

Edoardo mi aveva chiesto di accompagnarlo ad un meeting. Ci sarebbero stati clienti e altri avvocati. Era un po' che lavoravamo a stretto contatto e fui felice di poter vedere volti nuovi.

Mentre eravamo lì, io presi a parlare con un altro avvocato che già conoscevo e lui era alle mie spalle che discuteva con alcuni clienti.

D'un tratto una voce attirò la mia attenzione:

"Sofia? Sofia Ambrosini, giusto? Sei tu?"

Mi voltai. Era sempre la stessa. I lunghi capelli neri e lisci che le incorniciavano il viso a lentiggini e gli occhi scuri che mi scrutavano attentamente, il fisico da pin up fasciato in un abito firmato.

"Sì, sono Sofia, Ambrosini...ci conosciamo?"

"Sofia! Sapevo che eri tu anche se sei notevolmente cambiata! Sono Angelica Tremonti! Eravamo nella stessa classe!"

"Scusami...davvero...sono passati molti anni..." biascicai.

"Beh...sì... ma ero la più popolare della scuola...è strano che tu non ti ricordi di me! Poi sono rimasta la stessa nonostante gli anni...a dispetto tuo che sei cambiata davvero tanto! Sembri un'altra!...curata, carina..."

"Scusate!"

La voce, prepotente e dolce allo stesso tempo, di Edoardo mi riportò indietro dalla scatola dei ricordi in cui ero caduta. Subito dopo, sentii la sua mano posarsi sulla mia schiena ma ciò non mi sorprese anzi mi diede sostegno.

"Io e l'avvocato Ambrosini dobbiamo andare via" disse fermo.

"Sofia! Sono sorpresa! Non credevo conoscessi l'avvocato Bonelli! Avvocato, la sua fama la precede!È un piacere conoscerla! Io sono Angelica Tremon-" gongolò lei, porgendogli la mano.

Ma lui non la fece terminare:

"Sì, se vuole scusarci..." e spingendo la mano sulla mia schiena mi condusse via.

Io ero gelata. Immobile. Impassibile. Mi sedetti in macchina senza proferire parola.
Lui non disse nulla. Ascoltò il mio silenzio con rispetto. Quando giungemmo sotto casa mia lo sentii dire: "Stai bene?"

Io senza guardarlo annuii con un cenno della testa.

"Sei sicura di stare bene?" insistette lui.

"Sì" mormorai allora.

Ma lui mi stupì, spense la macchina e si girò verso di me mettendo la sua mano sulle mie che avevo intrecciate sulle ginocchia.

Fu come accendere un interruttore, collegare un cavo e far passare l'elettricità.

Mi girai e inchiodai i miei occhi ai suoi e fui invasa dal calore, quel calore che sa di casa. Quella casa che non avevo da molto tempo. I suoi occhi glaciali erano il fuoco che riscaldava piano la mia anima.

E fu allora che tornai. E lui se ne accorse.

"Sofia, dimmi, chi era quella tipa e perchè stai così, ti ha fatto del male? Sono qui ad ascoltarti..."

"Tutti e tutte facevano quello che diceva. Era bella, era una leader. Ed io...io non ero popolare...io ero...insignificante. Avevo i capelli crespi e degli occhialetti orribili con la montatura dorata. Non mi truccavo, usavo delle enormi camicie a quadri sui miei jeans neri. E lei, era venere in persona. Le maglie e i pantaloni attillati le esaltavano le forme già riconoscibilissime alla nostra età. Ero timida, infinitamente timida e mi nascondevo dietro a quegli abiti. Non avevo amici, nessuno dalla mia parte e...mi bullizzavano, mi prendevano in giro ogni singolo giorno di ogni mese passato a scuola, mi deprimevano, mi insultavano, mi annientavano con gli sguardi, con le parole, affilate e taglienti come lame. Colpivano, a colpo duro senza pensare minimamente al male che provocavano, a ciò che mi scavavano dentro...e lei, Angelica Tremonti era la peggiore" mi liberai di quel peso che era affiorato tutto in un momento e che mi faceva ancora boccheggiare.

"Se non avessi avuto mia sorella, avrei lasciato che quelle cattiverie gratuite mi trascinassero nel precipizio da cui non sarei più risalita. Ci sarei arrivata con un taglierino poggiato sulle vene, che più volte avevo provato a spingere sul mio polso. Ma l'ennesimo giorno in cui lo presi tra le dita, il viso di mia sorella, che piangeva disperata per me, mi apparve davanti agli occhi e lanciai il taglierino lontano. Allora corsi in camera sua, ma non fui costretta a dire nulla perchè lei lesse nei miei occhi il mio malessere. Da quel giorno in poi, le confidai tutto e lei divenne il mio sostegno nell'affrontare quello schifo" continuai fino a terminare il fiato, mentre una lacrima muta mi solcò la guancia.

Lui era rimasto raggelato, mi fissava bloccato e senza parole, abbassò la testa e sussurrò: "Mi dispiace...non sai quanto mi dispiace..."

"Grazie...pensavo di avere dimenticato il male che mi avevano provocato ma in realtà mi era rimasto cristallizzato addosso senza rendermene conto..."

Alzò lo sguardo su di me e vidi i suoi occhi cobalto offuscarsi; e fu in quel momento che sentii il bisogno di poggiare la mia mano sulla sua guancia, per dare conforto a quel tremore che gli leggevo dentro.

Edoardo Pov

Il suo racconto prima e la sua mano sulla guancia dopo, non mi lasciarono scampo, fecero emergere la mia colpa inespiata.

Quando fece per togliere la sua mano dal mio volto, la bloccai poggiando la mia sulla sua e fermare quella tenera carezza sulla mia guancia.

"Quale demone ti porti dentro, tiralo fuori, raccontalo a me..."mormorò con un filo di voce e non resistetti oltre: le lacrime arginarono e la voce rotta iniziò il racconto:

"Me ne stavo in disparte, ogni volta che lo stuzzicavano, che gli inveivano contro, per il suo aspetto, per il suo peso. Ero alle spalle di coloro che lo facevano ed io, me ne stavo zitto e fermo. Non mi schieravo, nè dall' una nè dall'altra parte. Non lo insultavo, nè lo difendevo. Ero un codardo... sono un codardo, un vile codardo" sospirai, presi fiato e continuai "Non dimenticherò mai il giorno in cui mi fermò nel corridoio del liceo quando ero solo. Tremava, riuscii a leggergli il terrore negli occhi. Mi pregò, mi supplicò con la voce rotta dalla paura...

'Bonelli, lo leggo nei tuoi occhi che sono limpidi come il cielo, che sei buono, che sei diverso da loro, che hai un cuore grande...puoi fermarli, puoi farli smettere...non ce la faccio più...aiutami'

Ma io, da vigliacco quale ero, non feci nulla, non mi opposi. E loro continuarono imperterriti mentre io evitavo quegli occhi. Il ricordo di quegli occhi, da quel giorno in poi, non si è mai affievolito. E' stata colpa mia, solo colpa mia, se solo lo avessi aiutato, se solo avessi detto qualcosa, se solo avessi avuto il coraggio di difenderlo; lui non si sarebbe lanciato dal balcone di casa sua togliendosi la vita. E' colpa mia, solo mia..." e scoppiai a piangere singhiozzando.

Lei mi prese il volto tra le mani e mi disse:

"Non è colpa tua, credimi, lo so, se tu avessi parlato non ti avrebbero ascoltato, avrebbero continuato, anche peggio, solo e soltanto perchè lui ti aveva chiesto aiuto...Non puoi incolparti, eri un ragazzo..."

"Lui ha sofferto come hai sofferto tu..."

"E si è lasciato schiacciare da quella sofferenza, ma tu non c'entri".

Le sue parole, le sue mani mi scaldarono il cuore. Avevamo le stesse cicatrici nonostante fossimo stati dalle due parti opposte della barricata.

Amami come Mai © #Wattys 2020Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora