Capitolo Trentatré - Promettimi

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20_Dicembre_2012
Sofia Pov

Erano quasi sei mesi che vivevamo insieme. I giorni si erano susseguiti veloci, i mesi erano volati, le stagioni erano cambiate.  L'inverno era arrivato e così l'atmosfera natalizia che si respirava in tutta la città. Adoravo Roma, adoravo il Natale e mi sentivo leggera, libera, invincibile. Invincibile perché avevo al mio fianco un cavaliere.

Il mio cavaliere dal sorriso disarmante e dagli occhi d'oceano che aveva riportato indietro la sua dama dal mondo degli inferi.

In quei giorni, decisi di organizzare la cena della vigilia di Natale, a casa nostra. Edoardo ne fu entusiasta. Io invitai Tata e Nali; lui, Max e la sua ragazza, e avrebbe chiamato anche Alberto. Gli sembrava strano che da più di un anno non tornasse a Roma, prima lo faceva ogni tre o quattro mesi ma si era completamente dato per disperso.

Quando il giorno prima della cena, chiesi a Edoardo se avesse sentito Alberto e se sarebbe stato dei nostri, mi disse:

"Mi ha risposto ma ha declinato l'invito, dicendomi di avere un altro impegno. Mi ha chiesto come stavamo, come andavano le cose e nient'altro. Mi è sembrato piuttosto scostante, non lo so..."

"Magari aveva la testa da un'altra parte, forse ha trovato anche lui qualcuno che gli riempie i pensieri...e il cuore..."

"Credo tu abbia ragione, altrimenti non avrebbe motivo per mancare!"

"Piuttosto, domani mattina mi aiuti a cucinare!"

"Scherzi, vero?! Lo sai che sono una pippa in cucina..."

"Se tua madre ti sentisse parlare in questo modo, mi metterebbe al rogo!"

"Porca troia!" disse lui e poi scoppiò a ridere.

"Sì, sì, prendimi in giro! E comunque ho bisogno di una mano e dovrai aiutarmi per forza!" incalzai.

"Solo se cucini senza vestiti..." ammiccò lui.

Sorrisi "ma come ti vengono certe idee!?"

"È colpa tua che mi accendi pensieri peccaminosi..."

"E sarebbero?"

"Tu in intimo rosso che cucini..."

"E tu in mutande che mi aiuti?"

"Mica male!" fece strizzando l'occhio " Penso sia un ottimo compromesso..."

"D'accordo, allora..."

"Credo che da domani adorerò cucinare..." concluse lui divertito.

La cena della vigilia fu un successo e la sua preparazione fu indimenticabile. Cucinare in intimo, coperti solo da grembiuli natalizi, fu singolare e piuttosto eccitante. Però avevo dovuto minacciare Edoardo che non mi avrebbe toccato fino a Capodanno, perché ogni scusa era buona per accarezzarmi, baciarmi e smettere di cucinare. Ma quella minaccia era servita anche ad accelerare i tempi e finire, per poi passare a stropicciare le lenzuola prima dell'arrivo dei nostri ospiti.

Una settimana dopo arrivò il nuovo anno. Per Capodanno organizzammo quattro giorni in Trentino, in un resort bellissimo che aveva una piscina riscaldata a 30 gradi, in mezzo alla neve. I vapori salivano dalla piscina e si confondevano con il bianco del paesaggio innevato, era surreale. Al contrario del nostro amore reale, talmente reale, da perdere la testa.

07_Gennaio_2013

Quella mattina passai dal tribunale e in tarda mattinata arrivai in studio. Non appena varcai la porta, voci concitate giunsero al mio orecchio e chiesi a Beatrice cosa stesse accadendo.

"Un tale Luigi Malaga è nell' ufficio dell'avvocato Bonelli e discutono a voce alta, più che altro questa persona sembra piuttosto infervorata..."

Decisi allora di andare a bussare, per capire cosa stesse succedendo ma in quel frangente, quel tale spalancò la porta dell'ufficio di Edoardo e camminando verso l'uscita continuò a sbraitare:

"Qualcuno dovrà pagare per questo! Non mi importa chi! Qualcuno pagherà!"

Il volto scavato, la pelle tiratissima, gli occhi scuri come gli abiti, mi fecero rabbrividire. Mi sorpassò e mi incenerì con lo sguardo cupo, poi uscì sbattendo la porta.

Edoardo era rimasto immobile nel corridoio con lo sguardo spaesato, gli andai incontro e gli presi il volto tra le mani.

"Amore, va tutto bene? Chi era quello?"

"Un certo Luigi Malaga. Non sapevo chi fosse e ho dovuto prendere gli incartamenti del suo caso o meglio di quello di suo padre. Mio padre aveva seguito il suo caso; era accusato di omicidio e aveva vinto la causa facendolo incarcerare".

"E da te cosa voleva?"

"Suo padre si è suicidato in carcere e ha accusato mio padre e anche me, di averlo fatto incarcerare da innocente ed averlo condotto a questo gesto...era furioso, completamente fuori controllo...gli ho spiegato che non c'entravo nulla io e che mio padre non ha mai fatto condannare un'innocente e lui è andato via gridando quelle cose..."

"Mi dispiace, quell'uomo sicuramente sta soffrendo ma se la sta prendendo con la persona sbagliata..."

"Mi ha messo addosso una tale inquietudine...devo rivedere bene il suo caso..."

"Sei sicuro?" Lui annuì "vuoi che ti dia una mano?"

"No, non preoccuparti, lavora con Elena al caso che dobbiamo portare in tribunale fra tre giorni..."

Gli diedi un bacio sulla guancia e lui si chiuse nell'ufficio.

Quando arrivammo a casa, Edoardo era ancora piuttosto turbato dall'incontro di quella mattina e dalla lettura del caso da cui non aveva tratto nulla di nuovo. Nel corridoio si gettò su di me e prese a spogliarmi in fretta, mi baciò con foga e senza troppi preliminari mi fece sua contro il muro.

Non era stata solo la passione a spingerlo, come le altre volte, ma c'era qualcos'altro che non avevo riconosciuto, un misto tra turbamento e bisogno.

Non appena finì, però, si accasciò a terra e si mise le mani tra i capelli:

"Amore, scusa, io...non volevo essere così poco delicato...non so cosa sia successo...avevo bisogno di te...del tuo amore...mi sento ancora stranito da stamattina..."

Mi inginocchiai di fronte a lui e gli presi il volto, sollevandolo.

"Vai a farti una doccia calda, nel frattempo preparo qualcosa da mangiare, ok?"

Annuì, ci sollevammo insieme e lui si diresse verso le camere ed io mi rivestii ed andai in cucina.

Dopo la cena, lui si spogliò e in pigiama si stese sul letto, io feci lo stesso e mi stesi su di lui. Iniziai a baciargli il volto, centimetro per centimetro, senza tralasciare gli occhi, le orecchie, nulla. Gli tolsi la maglietta e scesi a baciare ogni lembo di pelle delle spalle, del torace, delle braccia, delle mani. Lui restò fermo con gli occhi chiusi. Poi scesi ancora in basso, gli tolsi i pantaloni ed iniziai la stessa procedura sulle gambe, sull'inguine coperto dalla stoffa e lui sospirò; ma fu allora che mi prese di peso e mi ristese su di lui, mi strinse forte, attaccando il mio corpo al suo e sussurrò:

"Stringimi ti prego..."

Io spostai le braccia e le passai sotto le sue stringendolo.

"Promettimi che non mi lascerai mai...promettimelo..." sussurrò ancora.

"Te lo prometto" bisbigliai, stringendo la presa sulle sue braccia.

"Ho bisogno di te..." disse flebilmente e fece un lungo respiro come se stesse riprendendo a respirare.

Amami come Mai © #Wattys 2020Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora