Capitolo Trentanove - Giochi sporco

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11_Luglio_2013
Sofia Pov

Erano mesi in cui i giorni passavano monotoni, le cose che facevo erano ripetute e identiche ed io ormai vivevo in funzione della mia routine. Quel pomeriggio come tanti, arrivai in studio dopo essere stata in clinica.

Non appena entrai, Beatrice mi disse che un uomo mi aveva cercato ma non aveva lasciato il suo nome, aveva solo chiesto quando per certo avrebbe potuto trovarmi e lei gli aveva risposto nel tardo pomeriggio.

Non capivo chi potesse essere ed ebbi paura fosse ancora qualcuno in cerca di vendetta per cui me lo feci descrivere.

"Aveva i capelli non troppo corti, brizzolati, gli occhi scuri e un sorriso gentile, mi è sembrata una persona per bene..."

Non feci in tempo a collegare la descrizione che una voce familiare mi giunse all'orecchio:

"Sofia..."

Mi girai verso il portone d'ingresso e lo vidi:

"Papà!" mormorai a malapena perché l'emozione di averlo a pochi metri da me mi aveva resa afona.

"Figlia mia..." disse lui facendo un passo avanti ed io gli corsi incontro e lo abbracciai forte scoppiando in lacrime. Mi staccai un secondo e gli asciugai le lacrime che, rapide, bagnavano anche il suo viso.

"Vieni con me" dissi prendendolo per mano e conducendolo verso il mio ufficio "Beatrice,  per favore, non voglio essere disturbata per nessun motivo" comunicai alla segretaria che annuì, anche lei commossa.

Ci accomodammo sul divanetto e lui prese le mie mani tra le sue.

"Come stai?"

"Sto bene, tu, papà? Come hai fatto a trovarmi?"

"Ho cercato il tuo nome su internet ed è uscito il nome di questo studio. È uno studio importante, brava, tesoro mio, sono molto fiero di te...sei felice?"

Sospirai " Sì...e tu? Sei qui di nascosto?"

"Ho lasciato tua madre, lo so avrei dovuto farlo prima, ma speravo di farla ragionare, di convincerla a perdonarti e invece ho solo scoperto di non essere il tuo padre biologico e che lei mi ha sempre mentito per tutti questi anni..."

Ero scioccata "Sai la verità allora e sei venuto a dirmi addio?"

"Tutt'altro tesoro mio, sarò sempre tuo padre, se vorrai perdonarmi per averti abbandonato nel momento in cui avevi più bisogno di me!" fece lui commosso.

"Ti ho già perdonato papà..." dissi scoppiando nuovamente in lacrime e gettandomi tra le sue braccia.

"Ho sbagliato tutto, Sofia, sono stato debole e cieco, non ti sono stato vicino e non lo meritavi..."rispose, anche lui scosso dai singhiozzi.

Passammo un tempo indefinito, abbracciati, in silenzio, cercando di calmare le nostre lacrime all'unisono. Poi mio padre si staccò e guardandomi di nuovo negli occhi mi domandò:

"Sei felice? Stai bene davvero? Sei molto pallida e stanca..."

Deglutii, feci un lungo respiro e mi alzai, presi dalla mia scrivania la cornice in ceramica blu e la porsi a mio padre.

"Ero felice e stavo bene come non mai ma tutto è cambiato a gennaio. Lui è Edoardo, è l'amore della mia vita ed è in coma da sei mesi".

Mio padre osservò la foto che ritraeva Edoardo e me abbracciati e sorridenti e sospirò.

"Mi dispiace, tesoro, non meritavi anche questo. Meriti solo il bello di questa vita. Ma questa volta ti sosterrò, non ti lascerò da sola!" quindi si alzò e mi abbracciò ancora.

22_Luglio_2012

Amavo le domeniche, il giorno in cui ci alzavamo tardi e il tempo sembrava dilatarsi e dare spazio a tutti i nostri vizi e piaceri; il giorno in cui il lavoro rimaneva fuori dalla porta e ci dedicavamo soltanto a noi stessi e all'altro.

Era una calda domenica di luglio, Edoardo si era alzato prima ed era andato a fare una corsa, io mi ero alzata poco dopo, avevo indossato un pantaloncino e una canotta e mi ero messa ai fornelli.

Non appena rientrò, si avvicinò a me e mi lasciò un bacio sulla nuca. Quindi mi abbracciò da dietro, passandomi le braccia intorno alla vita.

"Sei accaldato e sudato..." lo canzonai.

"Vieni a fare la doccia con me..." bisbigliò lui nel mio orecchio e poi mi lasciò un bacio sotto il lobo.

"Sto preparando il pranzo dato che qui c'è qualcuno che non sa cucinare..."

Lui non rispose alla mia battuta ma sollevò di poco la mia canotta e fece salire le mani sulla mia pelle.

"Giochi sporco, Bonelli..." mormorai quando prese a stuzzicarmi con le dita.

"Sei tu quella che gioca sporco e indossa soltanto una minuscola canotta senza intimo..." bofonchiò ancora al mio orecchio.

Ed io mi girai e lo sfidai, guardandolo negli occhi.

"Non mi lasci alternativa..." disse lui e mi prese dalle gambe sollevandomi sulla sua spalla, con la facilità con cui si alza un sacco di patate.

"Lo dicevo che giocavi sporco! Mettimi giù!" feci battendo con le mani sulla sua schiena mentre lui, ridendo, si dirigeva verso il bagno.

Mi mise a terra proprio davanti alla doccia, quindi mi fece girare contro il vetro.

"Se devo giocare sporco, allora lo farò meglio che posso..." mormorò.

Quindi prese ad accarezzarmi le braccia, mi prese le mani e le alzò in alto, facendole appoggiare sul vetro. Poi le accarezzò fino a scendere sui fianchi; lì, afferrò il bordo della canotta e la tirò su, fino a sfilarla dalla testa. Fece scendere due dita lungo la spina dorsale, sulla pelle, fino a lambire il bordo del pantaloncino. Lo seguì con l'indice e poi fermò di nuovo le mani sui miei fianchi e in un gesto lo tirò giù insieme all'intimo, lasciandomi nuda. Subito prima di sentire il fruscio dei suoi vestiti, avvicinò la bocca al mio orecchio e bisbigliò:

"Sei bella... bellissima, mi dici come faccio a resisterti..."

"Non farlo..."

Mormorai piano e allora lui risalì con le mani sulle cosce fino a sotto le braccia; attaccò la sua bocca alla mia schiena e la baciò in lungo e in largo, scendendo piano lungo il resto del corpo, mentre il mio respiro si faceva più pesante e il suo corpo nudo si addossava al mio.

Spesso restavo intrappolata nei ricordi, in quei ricordi d'amore che erano il solo modo che mi permetteva di riuscire a sentire Edoardo ancora mio.

In quei momenti mi sembrava ancora di averlo addosso, di avvertire il suo calore, di inebriarmi del profumo della sua pelle. E allora mi lasciavo andare a quelle memorie e mi facevo cullare da quelle emozioni che mi riportavano la pelle d'oca.

E restavo ad occhi chiusi, perché in fondo al mio cuore, ero consapevole che se avessi aperto gli occhi non avrei trovato le sue pozze blu a scrutarmi ed il suo sorriso a rispondere al mio.

Amami come Mai © #Wattys 2020Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora