Verso l'anno 1560 – mezzo secolo dopo l'arrivo dei primi scopritori e conquistatori del Nuovo Mondo – un gruppo di avventurieri spagnoli rimasti senza i grandi benefici della conquista, deambulavano dopo la guerra per tutto il Perù, cercando un'opportunità per migliorare la loro vita, che per loro disgrazia non trovarono nei loro intenti, soccombendo all'anonimato, alla miseria o alla stessa morte. Non erano rimaste ricchezze, tutto e tutte le terre migliori era già stato ripartito, in un paese ufficialmente in pace ma in realtá pieno di tensioni, di focolai di ribellioni, di sediziosi, disoccupati e risentiti. Nelle cittá e nei villaggi aumentavano i meticci senza uffizio ne parte, caratterizzati dal peggio delle loro due razze e rifiutati dai loro due mondi. Fú allora quando il vice-re marchese de Cañete, autorizzò trá le poche spedizioni: el Dorado, per dare occupazione e soddisfazione ai veterani di guerra rimasti senza un compenso, ribelli e facenti parte di antiche rivolte. Il vice-re diede potere come generale e governatore di questa spedizione, ad un cavaliere suo amico, Pedro de Ursúla, originario delle dorate colline di Navarra; nel 1559 iniziava il reclutamento degli integranti la spedizione a Trujillo, Moyobamba, Cuzco e altre cittá Peruviane. Risposero alla chiamata della campagna di reclutamento gente di tutte le categorie, trá i quali malfattori perseguitati dalla giustizia e veri delinquenti, visto che il vice-re offrì un'amnistia a quelli che si arruolavano.
Uno squadrone che aveva già saccheggiato imperi e profanato un mondo, avidi e insolenti.
Per contropartita, Ursúa con il suo linguaggio elegante proprio del suo stato, proveniente da una stirpe di instancabili guerrieri di una importante e solenne famiglia Navarra, attrasse anche qualche nobile capitano.
I suoi modi principeschi contrastavano in quel mondo di uomini rustici dalle abitudini brutali.
Non era un avventuriero cercando di vincere le meschinità della vita. Aveva combattuto in cinque guerre prima di compiere i trent'anni, un cavaliere pieno di meriti, protetto dai re, eloquente, con il dono del comando, elegante e gagliardo, favorito dagli Dei.
Le difficoltà finanziare, visto che non arrivarono mai parte dei 100.000 pesos promessi da alcuni mercanti e affidatari, furono sul punto di troncare questa avventura che doveva fare diventare ricchi e famosi quegli intrepidi soldati. Ursúa aveva dovuto ricorrere ai forzieri del tesoro, e in certa parte anche alle casse del vice-re, però mancavano ancora vettovaglie, strumenti ed armi. Ci volle quasi un anno di complicati preparativi per mancanza di soldi, peró alla fine s'imbarcarono decisi: trecento spagnoli come guerrieri principali – si contava anche con qualche veterano della spedizione di Orellana (quelli che venti anni dopo furono capaci di ritornare agli spietati fiumi dell'Amazzonia) - circa cento ausiliari trá negri e meticci di diverse razze; trecento indios sommessi alla schiavitù; varie donne indigene, meticce e sei spagnole.
Si dice che El Dorado è una città chiamata Paititi, il cui re ha l'abitudine di ricoprire tutto il suo corpo con un liquore untuoso e sopra spargervi polvere d'oro, in modo da sembrare essere fatto di questo metallo; e così risplendere alla luce del sole. Questa leggenda e la ricerca del prezioso tesoro, fecero sì che tutta questa gente si arruolasse in questo viaggio. Qualche indios che faceva parte della truppa, assicurava conoscere il cammino verso questa cittá piena di ricchezze.
In questo viaggio nel paese dell'Amazzonia, dove avrebbero dovuto trovare ricchezze che fluivano come getti d'acqua dalle fontane, si sarebbero invece scontrati con dardi avvelenati di feroci difensori dei territori selvaggi, indios nudi, donne guerriere dominanti, una spessa selva di serpenti mortali, pesci carnivori di affamati fiumi, alberi che solo sfiorati avvelenano, piogge e tormente aggressive, in un pericoloso cammino esigente forza, resistenza e brutalità.
Come altri, Pedro Portillo – vicario di Moyobamba – anche lui entusiasmato con le storie del governatore, si mise d'accordo con Pedro de Ursùa che a cambio di nominarlo vescovo dei territori che si sarebbero scoperti, gli avrebbe prestato quattromila cinquecento pesos (i suoi risparmi di tutta una vita). Si diceva che questo ricco prelato avesse ammassato questa fortuna privandosi anche del cibo. Quando venne però il momento di dare il denaro promesso, ebbe la meglio il suo spirito austero e si pentì dell'accordo. I soldati seguaci di Ursùla lo misero con le spalle al muro nella stessa chiesa e lo sequestrarono, l'obbligarono a firmare un documento per un mercante che custodiva il suo denaro, nel quale s'intimava di consegnare il denaro stesso. La spedizione obbligò il clerico con la forza a seguirli come cappellano della campagna.
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Con l'anima divisa in tré
Non-FictionSapevo di dover scrivere le mie vicissitudini ed ottenere che fossero interessanti da leggere. Mi sono divertita nel riunire e collegare trà di loro i miei appunti, vederli plasmati in questo libro -entrando in scena -, scritti all'inizio senza un o...