LA MIA FAMIGLIA E ALTRI ANIMALI

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Monica, una collega di lavoro, m'imprestò un libro intitolato La mia famiglia e altri animali. Non poteva fare a meno di leggere questo divertente libro. La vedevo sempre immersa nella lettura: in qualsiasi pausa leggeva, persino quando camminava dall'ufficio al metro. Una volta le dissi che non l'avremmo mai piú incontrata, visto che poteva sparire cadendo in qualsiasi voragine oscura.

Gerald Durrel ci descrive in questa opera la sua passione per la fauna, e contemporaneamente le svariate situazioni che attraversa la sua peculiare famiglia. Mi ricordai della mia quando lo lessi, perché in tutte e due le famiglie ci sono personaggi con forti caratteri, ognuno con le sue raritá, che sono sufficienti per scrivere intere storie. Certamente la mia famiglia è totalmente diversa da quella di Durrell, visto che la sua la descrive con gli usi e le abitudini di una famiglia inglese, mentre le mia è tropicale e temperamentale.

Mia madre vive sperando che la sua esotica prole viva in completa armonia, e non só se prima o poi si renderá conto che è impossibile; lo dubito, lei è ostinata in questo senso. Non mi fá caso quando le dico che quello che bisogna fare è uscire dalla prima linea di battaglia per non cadere abbattuta dai primi spari. Credendo che per mezzo di una terapia potessi dissuaderla da questa sua ostinata idea, quando stavamo a Barcellona, con un mezzo inganno la portai da una psicologa, nella zona alta di Barcellona, dove ci sono varie cliniche e studi medici di tutte le specialitá. Spingendo la carrozzina di mio figlio, cercavo di spiegarle che è sempre piú frequente farsi aiutare da specialisti per risolvere problemi personali. Non riuscí a convincerla, si arrabbió moltissimo e non volle entrare. Sentii che diceva: "Non voglio parlare con qualcuno che non conosco e che sicuramente bisogna anche pagare!" Nel mio paese, seguendo le antiche usanze, si pensa che gli psicologi servano solo per trattare con i pazzi da legare, e che nessuno osi dire il contrario.

Ho molti zii, cugini e nipoti, alcuni di sangue e altri acquisiti. Abbiamo l'abitudine di trattare famigliarmente i piú vicini. Molte volte mi confondo e non só se una "primita" (cuginetta n.d.t.)- diminutivo che usiamo comunemente lí - lo è veramente di sangue o è figlia di qualche comare della mia famiglia. Mi perdo, e allora chiedo facendo finta di niente. "Chi è suo padre...e sua madre?" Dopo tanti anni viaggiando costantemente da un estremo all'altro del mondo succede che mi perda in questo scenario. M'interesso della mia genealogia con la curiositá di una narratrice di racconti, non perché mi preoccupi il tema, visto che ai tempi della mia infanzia la metá della gente del mio paese era imparentata trá di loro, trá prole riconosciuta e no, a conseguenza del tanto praticato adulterio, cosí tollerato trá gli uomini e invece cosí mal visto trá le donne.

Mi sarebbe piaciuto coincidere con qualcuna delle mie longeve zie nei loro anni di gioventú: per esempio, dalla parte della mia famiglia materna, con mia zia Consuelo e le sue mattutine camminate. Ho la sensazione che lei sarebbe stata una delle colonne portanti di Tangarana – con gli anni che ha ancora adesso ci accompagna in tutti gli eventi e le riunioni -. Dalla parte paterna invece, con mia zia Lola, per condividere la sua passione per alfabetizzare la popolazione indigena.

Sono tornata alle mie origini grazie ai nostri eventi solidari, e inevitabilmente mi sono trovata al centro dell'attenzione, come succede a qualsiasi persona che appare frequentemente nei mezzi di comunicazione. Ho sentito subito di essere ritornata a casa, molta gente si avvicina a me e io sono contenta di poter condividere questi momenti con tutti loro.

Per quanto riguarda la fauna, sono cresciuta circondata dalla stessa nella selva Amazzonica - territorio che gode del riconoscimento di essere la piú grande biodiversitá mondiale -, dove i pappagalli, le lucertole, le are, le scimmie, le formiche, i volatili, i mammiferi, gli anfibi e gli insetti vivono immersi in una vegetazione densa ed esuberante. Per me, il paese della mia infanzia è il cantare delle cicale, il gracchiare delle rane e il ronzare dei variopinti insetti che abbondano nei dintorni di tanto fogliame, in un clima umido e caldo dalla mattina alla sera, anche se attualmente bisogna uscire dal centro urbano per sentire i richiami di questi animali.

Molte volte, anche quando sgrido Erik, affiorano le mie origini. Spesso gli dico che non sono una "ronsapa" ( specie di ape simile ad una vespa che volando attorno a qualche cosa emette un costante ronzio – n.d.a.) che gli stá costantemente attorno per controllare che faccia i suoi compiti; o ricordandogli che deve lavarsi se no finirá come una "huanganita" (maialino selvatico – cinghialetto n.d.t.) che usa le sue secrezioni ghiandolari di odore fetido per marcare alberi e rocce del suo territorio, specialmente quando si sente in pericolo.

È inevitabile attirare l'attenzione quando racconto che nella mia terra c'è una formica gigante con ali – delle dimensioni e forma di due fagioli uniti - , e che per di più si mangia come prelibatezza. É conosciuta come "siquisapa", vive nel sottosuolo ed esce alla superficie una volta all'anno quando piove torrenzialmente. È allora quando vengono intrappolate con molta attenzione, visto che mordono lasciando evidenti ferite. Si preparano sbruciacchiate, che consiste nel cacciarle di mattina presto con la fiamma di alcune torce. Bisogna aspettare attenti e in silenzio, sino a che il sottosuolo rimbombi per il rumore che fanno ad uscire attraverso un monticello di argilla; in quest'istante, si dá fuoco alla torcia. Le formiche, attratte dalla luce in un disperato volo, si gettano trá le fiamme e cadono al suolo, momento nel quale si approfitta per raccoglierle e metterle in un sacco. Successivamente gli si staccano le ali e si friggono per poi mangiarle o venderle. Mio marito e mio figlio non hanno voluto provarle. Nella mia terra d'origine succede invece che si sorprendano quando racconto che in Europa si mangiano le lumache di terra e alcuni fiori come le violette.

Nella mia ultima visita all'Acquario di Barcellona ho visto dei "carachamas" (Pseudorinelepis genibarbis), di apparenza antidiluviana, nella zona dei pesci d'acqua dolce e clima tropicale; il cui corpo è corazzato da una resistente armatura fatta da grandi e rigide squame. Mi vennero in mente le zuppe (chilcanos) di questo pesce che mangiai nella mia infanzia. Mio padre li pescava intrappolandoli in grandi reti, erano talmente tanti che si usavano per il nostro consumo e anche per venderli. Questo alimento è caratterizzato dal suo grande valore nutritivo – fosforo e olio omega 3 – e le sue uova si mangiano come un caviale.

Con l'anima divisa in tréDove le storie prendono vita. Scoprilo ora