RIFLESSIONI SULLA LETTURA E LE RETI SOCIALI

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Perché questa riflessione? Perché non trovo il modo di evitare di scontrarmi, nei giornali che leggo o nei programmi televisivi che vedo, con la tendenza ad andare verso la distrazione e il divertimento; verso il mondo dello spettacolo. L'umore e il divertimento, sono positivi naturalmente, senza di loro la vita sarebbe noiosa, peró se fosse esclusivamente questo vedremmo il trionfo della banalitá e della pacchianeria dappertutto. Per sfuggire a questa tendenza generale, e allo stesso tempo coltivare il gusto per la lettura e per le parole, nella nostra organizzazione abbiamo messo a disposizione dei nostri ragazzi, libri di corse e allenamenti, esperienze e storie affascinanti di corridori. Questi preziosi racconti, che hanno viaggiato per molti chilometri nelle valigie strapiene dei nostri collaboratori, rimangono accatastati aspettando che qualcuno li sfogli e faccia prendere loro aria. Ho sentito dire: "Non servono, perché in internet si trova tutto". Faccio fatica ad immaginare una vita senza libri. Tanto piú si legge tanto meglio si scrive; non meravigliamoci allora se ci troviamo di fronte ad una scrittura zoppicante, con errori di ortografia, sintassi o frasi scoordinate.

Continuo perseverando nella scrittura delle cronache dei nostri eventi. "Se non leggi non sai scrivere. Se non sai scrivere non sai pensare", cosí deciso è lo scrittore messicano Juan José Arreola. Le persone tollerano sentirsi dire che non sono buoni lettori, non peró se gli dici che non sanno pensare, questo ferisce il loro orgoglio e, indubbiamente, una cosa condiziona l'altra.

Possiamo esistere senza pensare, e delle volte il pensiero diventa un rumore che infastidisce la mente, peró nel pensiero, con il potere della parola, abbiamo una potenza divina. Jorge Luis Borges è chiaro: "La felicitá, quando sei lettore è frequente", e io aggiungo che se per di piú segreghiamo endorfine – camminando per esempio – la felicitá potrebbe essere ancora piú frequente.

Gli amici con i quali corro sono sempre di buon umore, e generalmente possiamo osservare che i corridori sorridono di piú che la media del resto della gente che non corre.

Non è obbligatorio che a tutti debba appassionare la lettura, e non deve neppure essere una tragedia il contrario, benché nella scuola elementare di mio figlio, una scuola pubblica perché in svizzera le private brillano per la loro assenza, sembra che si lo sia. Poco tempo fá a mio figlio affiancarono uno psicologo, perché non dimostra molto interesse per la letteratura, nonostante sia un bravo studente nelle altre materie. Insomma "ne calvo, ne con due parrucche".

Come succede in tutte le organizzazioni, nella nostra ONG abbiamo determinati documenti e protocolli – tutti pubblicati nella nostra pagina web che dovrebbero servire come riferimento e per essere consultati – che si scontrano peró con la barriera del poco interesse per la lettura. Questo interesse si vá perdendo, offuscato dalle tante distrazioni e dalle nuove tecnologie. Viviamo nella "civiltá dello spettacolo", ci dice Mario Vargas Llosa nel suo brillante saggio. Non dobbiamo cadere nello stereotipo che tutto il passato era meglio, e neppure dobbiamo vaticinare pronostici apocalittici, dobbiamo semplicemente pensare che si tratti di una generale e sfortunata tendenza globale.

Se a tutto questo aggiungiamo il recente fenomeno delle reti sociali, nelle quali primeggia il valore dell'immediatezza di fronte a quello della parola e del linguaggio, ci troviamo di fronte ad un declino dell'espressione scritta; delle volte è difficile persino capire una frase corta. Bisogna riconoscere comunque che queste piattaforme tecnologiche hanno fatto sí che molta gente che prima non scriveva neanche una parola, adesso lo faccia. Senza dubbio si scrive piú di prima,e alcuni addirittura si sforzano per farlo abbastanza bene per non dare di se una cattiva immagine.

Continuando con il tema delle reti sociali e la scintillante varietá cibernetica, agli inizi della nostra organizzazione come Tangarana, si formó un gruppo di WhatsApp come forma di comunicazione orizzontale del gruppo. In un primo tempo eravamo una ventina trá amici e famigliari e fú interessante vedere le buone intenzioni, le proposte e le idee che scaturivano dai partecipanti a questo gruppo, ma a mano a mano che si cresceva, questo mezzo di comunicazione divenne insostenibile. Arrivammo ad essere piú di duecento soci che in un assoluto disordine davano le loro opinioni, al punto tale che si crearono situazioni di totale confusione. Abbiamo cercato di stabilire un controllo, regolando il numero delle foto che molti volevano pubblicare, peró non ci siamo riusciti.

Non fú solamente questo, ma successe anche che ci ritrovammo saturati di messaggi impersonali, senza tenere presente che quando arrivano al telefono lo sovraccaricano. Anche se ognuno gestisce il suo tempo come vuole e secondo le proprie preferenze, questa abitudine degli ultimi tempi risultó infertile.

A conseguenza di tutto ció e dovuto alla necessitá di contare con strumenti tecnologici di comunicazione, che logicamente hanno il loro lato positivo, e ancora di piú se si gestisce un progetto essendo distanti – come succede nel mio caso – ci vedemmo obbligati a cambiare modalitá di comunicazione – scontrandoci con la opposizione di qualcuno – e a passare ad un sistema piú verticale, con una lista di distribuzione della stessa piattaforma WhatsApp, facendo in modo di ricevere tutti la stessa informazione senza peró la confusione di prima.

Per non disprezzare la partecipazione della gente, la interattività e l'interscambio, creammo un chat interno nella nostra pagina su internet, senza peró avere molti seguitori. È impossibile cercare di rimpiazzare un sistema di messaggeria istantanea giá radicato come abitudine giornaliera.

In tutti i cari si puó sempre ricorrere al Facebook della nostra organizzazione, - gestito dai nostri collaboratori tecnici – nel caso sia necessaria una risposta immediata; un mondo nel quale ancora non mi sono azzardata ad entrare, non vorrei dover stare altro tempo distante dal mondo reale e collegata invece ad un dispositivo elettronico. Non possiamo ridurci sempre di piú a fare solo questo. Dovremmo fare uno sforzo per evitare di guardare il telefono durante delle ore; gli eccessi e le dipendenze non possono fare bene. Mi inquieta sapere che c'è gente che espone i propri problemi famigliari in questi mezzi, o quando vedo gruppi di persone che si ritrovano per chiacchierare e che invece di conversare trá di loro dedicano il tempo a controllare le notificazioni e le ultime notizie di queste applicazioni – con il risultato di perdere la capacitá di socializzare – Dovremmo essere capaci di reagire e pensare a questi atteggiamenti e alle loro conseguenze.

I nostri avi leggevano piú di noi? Che reti sociali avevano? Le risposte a queste domande si possono trovare solo scavando nel passato.

I ricordi si affacciano alla mia mente in fila indiana senza che io abbia dato loro permesso. Affiorano ricordi di programmi radiofonici che ascoltavamo ogni giorno – ancora non era arrivata la televisione - ; per esempio il fratello Paolo, un pastore popolare degli anni sessanta, il cui programma addirittura fú diffuso in trentatré paesi. Se questo rappresentante di Dio – per alcuni – vivesse ancora, a proposito delle reti sociali ci direbbe: "Bisogna dedicargli qualche minuto di riflessione". Questo fatto sicuramente sarebbe oggetto di piú di uno dei suoi popolari micro-programmi. Ho impresso in me il suo tono di voce con il quale ci conduceva direttamente al divino. Anche altri programmi che diffondevano giornalmente le notizie erano diretti alla coscienza di ognuno di noi, cosí da impedirci di vivere ignorando la realtá. La radio aveva un ruolo molto importante come mezzo di massa. Si puó dire che era la reta sociale di allora, perché attraverso le missive che si facevano arrivare all 'emittente radiofonica, si potevano fare gli auguri per un anniversario, per un matrimonio o avvisare di una defunzione.'

Al giorno d'oggi, la radio ha ancora i suoi seguaci, anche se molti meno, visto che è stata offuscata da tanta tecnologia. Aumentando la popolazione e essendo i telefonini alla portata di tutti, in queste emissioni appaiono in scena anonimi partecipanti: sagaci vedenti, medici improvvisati e consiglieri sentimentali. Nelle emissioni notturne, alcune adatte solo agli adulti, si possono ascoltare confessioni di adulteri, di persone sfortunate, di perdenti, di chi non è d'accordo con il proprio sesso, di ingenui ed illusi che credono nelle stelle. Una lista molte volte commovente e in certe occasioni invece solo molto semplice. Una notte in cui non riuscivo a prendere sonno, grazie all'assordante musica di un vicino che festeggiava, cercai rifugio nella voce umana di un programma radiofonico. Ascoltai di una signora tormentata che chiamava per raccontare che dopo un incidente di moto, nel quale la sua comare con la quale non ha mai piú parlato, andava con suo marito nei dintorni del paese appunto in moto. Cosa ci facevano quei due in un posto tanto oscuro e solitario? Una donna sconosciuta incalza cercando di rispondere a questa domanda e racconta di aver trovato il suo fidanzato a letto con la sua amica. Lo ha perdonato perché lui si è pentito e perché lei stessa ha comprovato scientificamente che adesso le è fedele. Adesso vivono felici. Le consiglia il perdono. A questo punto e In questa atmosfera compiacente irrompe una terza ascoltatrice per dire che non si dimentichino che: "La gallina mangia l'uovo anche senza il becco". La conduttrice saluta dicendo alle partecipanti che ritornino a chiamare piú tardi, perché adesso è il turno dello "sciamano pusanguero" ( che deriva da pusanga, un profumo miracoloso, fatto con fiori e piante amazzoniche che serve per conquistare amori impossibili) e chiude il programma abusando di diminutivi e salamelecchi, ripetuti infinitamente, usati da molti locutori radiofonici obbligati dalla loro professione a rispettare le norme idiomatiche locali.

Con l'anima divisa in tréDove le storie prendono vita. Scoprilo ora