IL BAMBINO CHE VENDEVA EMPANADAS

1 0 0
                                    

Durante gli anni della mia infanzia, a Santiago delle Otto Valli, ricordo vagamente un bambino che vendeva empanadas per strada. In quel periodo vivevo immersa nei giochi di fantasia con i bambini del mio quartiere. Delle volte mi trovavo con questo bambino piú o meno della mia etá, che vedendomi timidamente mi diceva: "Ti vendo le mie empanadas". Portava su di una spalla un piatto fondo coperto con un tovagliolo di tela ricamato. Era scalzo. Sembrava che sorridesse ma aveva uno sguardo timido e triste. Ricordo che qualche volta cercai di parlare con lui, peró sgattaiolava via. Si sapeva che viveva con sua nonna quasi cieca in un viottolo, in una casetta costruita vicino ad una scarpata dove si lasciavano i rifiuti organici.

Non aveva altra famiglia che sua nonna, del padre non si seppe mai nulla. Sua madre portó con se nella tomba il segreto il giorno in cui nacque suo figlio José. Nell'ospedale non riuscirono a fermare l'emorragia dopo il parto. A stenti la nonna si prese cura di lui intanto che era piccolo, mentre lavava la biancheria degli altri per guadagnarsi pochi centesimi. Le vicine, anche loro molto povere, la aiutavano come potevano. Sin da piccolo José aiutava con la vendita delle empanadas, che a malapena riusciva a fare la nonna, che ci vedeva sempre meno. Raccoglieva anche la biancheria da lavare su incarico, che ritornava poi pulita. Passava le sue giornate occupandosi di queste faccende.

Alle cinque della mattina andava al mercato del paese, era uno dei primi ad arrivare per aiutare a caricare le casse e i sacchi dei venditori. A volte gli affidavano lavoretti di poco conto. Calixto si chiamava colui che di solito gli dava i resti della carne che vendeva; Otilia invece gli dava ció che restava della frutta usata per i succhi. Non sempre peró riusciva ad ottenere qualche cosa; era allora quando ritornava a casa con le mani vuote. Ogni tanto aiutava in un negozio di alimentari; quando c'era da fare qualche consegna, saliva sul triciclo del Gringo, un signore anziano e con una salute fragile.

José Quintanilla crebbe con il rancore dentro di sé, senza opportunitá, escluso e senza nessuna protezione, sentimenti che si fecero piú forti durante la sua adolescenza. Nell'anno 1986, quando aveva 21 anni, lo captarono – con promesse di un futuro migliore e piú giusto – i guerriglieri del movimento sovversivo Tupac Amaru; si arrivò a dire che fú uno dei principali comandanti nei diversi attacchi guerriglieri sul fronte nord-orientale peruviano. Cosí nacque il camerata Carlos, uno dei responsabili della presa della cittá di Yurimaguas, nel distretto di San Martin, nell'anno 1990. José comandó la colonna di 400 terroristi – uomini, donne e bambini fortemente armati – addestrati alla lotta violenta. Fecero incursione in questo luogo, per sorpresa e con fierezza in una mattina calda e piovosa. Dopo interminabili ore di scontri intensi, il paese quasi distrutto, rimase paralizzato immerso in una cortina di terrore; molti poliziotti fuggirono, le case della strada principale furono saccheggiate e quelle della piazza bruciate. Due giorni dopo, l'Esercito peruviano sbarcó nelle vicinanze con tutto il suo arsenale militare. Iniziò cosí una cruenta battaglia che finí con la morte di alcuni combattenti e molti feriti trá i quali il camerata Carlos, che ricevette una pallottola nello stomaco ed ebbe il tallone della gamba destra fatto a pezzi. Morí dissanguato qualche ora piú tardi, mentre cercavano rifugio nella tupida selva, trá la desolazione di alcuni dei suoi guerriglieri, che cercavano di fuggire con lui. Spiró trá le braccia della camerata Carmen, suo unico ed effimero amore. Si conobbero nella clandestinitá due mesi prima di questo fatto, l'attrazione fú mutua sin dal primo momento; si trovavano con discrezione e si amavano nelle poche pause della "lotta armata"; si cercavano con lo sguardo e si vollero bene fugacemente ma intensamente. Carmen e gli altri camerati riuscirono a scappare in mezzo alla folta vegetazione, conoscevano molto bene il territorio. Continuarono con le incursioni terroriste in diverse localitá della regione, peró poco tempo dopo lei morí in una imboscata e gli altri furono catturati.

Per scrivere questo racconto mi sono documentata consultando i giornali di questo violento periodo. I fatti sono reali ei personaggi raccontati con risvolti della mia immaginazione, esistettero davvero anche se con diversi nomi.

La nostra memoria è fragile, per questo sarebbe sensato non dimenticare gli episodi vissuti durante il terrorismo, quelli che fecero tremare le fondamenta del nostro Paese, perché le nuove generazioni conoscano questi avvenimenti. Il passato non si puó ignorare, bisogna avere una coscienza collettiva per evitare sbandamenti.

Con l'anima divisa in tréDove le storie prendono vita. Scoprilo ora