Era Meglio Ieri- Emis Killa

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Mi sedetti sul divano facendo e appoggiai la schiena sui morbidi cuscini di pelle rossa e portai la canna alle labbra, presi l'accendino che era posato sul tavolino di fronte al divano e l'accesi. Feci il primo tiro e chiusi gli occhi per qualche istante, aspettando che iniziasse a fare effetto l'erba. La mente iniziò a vagare per i ricordi, sia dolori che belli, non riuscivo a gestirli. Era tutto un ammasso di emozioni che non riuscivo a gestire.

Feci il secondo tiro.

Ma era tutto davvero meglio ieri? Quando la realtà era nascosta, quando tutto sembrava andare bene quando quello in cui credevo esisteva davvero. No, no che non era meglio. L'amore era fantasia, tutte stronzate e promesse, tutto quello che una persona si spinge a credere pur di sentirsi realizzato, ma non era così, non siamo e non saremo mai realizzati. E' solo un continuo scendere e salire delle cose, un continuo non comprendersi ma cercare di conoscersi, e mi son sempre chiesto, come puoi farti conoscere dall'altra persona che tu non ti conosci, è impossibile cercare di comprendere l'altra. L'amore finisce, proprio così come è iniziato, ed è strano, come se fosse una qualsiasi emozione, hai provato una bella cosa secondo la tua testa e secondo il tuo corpo, ma per una piccola parte della tua testa non è così, hai fatto una serie di errori che ti hanno portato a rimanere da solo, e forse nemmeno te lo meritavi, forse non meritavi niente di ciò che hai dovuto sopportare, eppure era accaduto, non importa quante cose tu abbia dato all'altra persona, non importa  hai sbagliato davvero o no, non importa più niente. E' tutto sbagliato, tutto.

La canna lentamente si consumava, la sensazione che la mia fine si stesse avvicinando era sempre più presente. Ma sapevo di meritarmela, sapevo che quella era la mia fine, come ho potuto? Com'è potuto accadere? Non lo so, non so cosa sia successo, non so cosa ci sia nella mia testa, non so nemmeno cosa si sia annidato in questi mesi nella mia mente, solo una marea di pensieri oscuri che mi hanno portato a fare ciò che ho fatto. Non potevo fare altrimenti, ho resisto anche troppo, cercando di comprendere che ciò che stesse accadendo, ma non riuscivo. Non capivo cosa stesse succedendo in me. Eppure ho assecondato queste mie assurde idee, ritrovandomi così, colpevole, e consapevole soprattutto di aver fatto la peggior stronzata della mia vita. 

Ormai ci siamo, sono qua...li sento.

Spensi la canna e rimasi seduto  sul divano con lo sguardo fisso sul pavimento, chiusi gli occhi cercando di dimenticare gli avvenimenti accaduti poco prima. Non si può dimenticare, è impossibile farlo. Nonostante si voglia dimenticare tutto delle volte, forse è proprio questo che ci spinge a non farlo, una sorta di masochismo umano che continua a ripetersi ogni volta che cerchiamo di andare avanti, io questa volta non ho voluto dimenticare, non volevo andare avanti, non ne avevo più i motivi infondo, ma perché l'ho fatto? Perché ho assecondato questa cosa, non capivo, non lo capivo tutt'ora eppure una spiegazione doveva esserci, non avrebbero mai creduto alle solite stronzate, non esisteva alcun "raptus nervoso" non esisteva alcuna patologia psicologica, pronta a spingermi oltre, esisteva solo Emiliano, Emiliano che ha perso qualcosa e che non lo accettava, per quanto volesse sforzarsi.

Guardai le mani, sulle dita avevo ancora tutti i miei anelli, sporchi di sangue, così come le mani, i miei occhi erano fissi su di loro, e la testa continuava a suggerirmi quelle immagini agghiaccianti.
Il rifiuto delle volte spinge al limite, e il limite, a volte, spinge alla follia. Il dolore spinge alla follia. La testa però per quanto possa risultare annebbiata è lucida, comprende quello che sta accedendo.
Ricordo i suoi occhi spaventati appena mi ha visto entrare dalla porta, che lei come al solito, lascia aperta, la sua voce tremolante che mi supplicava di ragionare, che non avrei guadagnato niente da ciò che stavo per fare, le immagini sue con quella persona di cui ancora ignoro il nome, ma che in poco tempo, mi ha tolto la mia donna. L'adrenalina che saliva, la mano che continuava a muoversi e la lama senza pietà che continuava ad entrare e uscire dal suo corpo, le sue urla silenziose per colpa della mia mano premuta saldamente sulle sue labbra.
I suoi occhi scuri che cessarono di supplicarmi così come il suo corpo e il respiro.

Il panico che prende dopo, non penso che naturale, eppure è accaduto. Ho chiamato la polizia, sono qua, sento le sirene.
Sono sempre più forti, sono arrivati.
Il mio sguardo continuava fisso sulle mie mani. La porta che fece un rumore sordo e cadde a terra, girai lentamente la testa, sapevo che tra poco sarebbe incominciato l'inferno. Mi alzai - signor Giambelli venga con noi, è accusato di omicidio volontario- disse una donna mentre il suo collega stringeva le manette fredde ai miei polsi - ha il diritto di rimanere in silenzio- disse lasciando all'intuito il resto.

Non opposi resistenza, ma prima di varcare la porta girai la testa e guardai il corpo, ancora steso a terra in una pozza di sangue. Il cuore mi si strinse, ero un mostro.

«Nella notte a fari spenti
faccio a pugni coi pensieri,
a tutto ciò non trovo un senso
e penso che era meglio ieri»


Incredibile ma questa doveva essere una storia ma siccome sono stupida questo è il risultato, invece di buttare via ho deciso di farci una oneshot. Beh buonanotte belli

Oneshot|| Rap ItalianoDove le storie prendono vita. Scoprilo ora