Rosso

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“Pensi di lavarti, tipo, prima o poi?”

“Mh?” Spostai le cuffie dalle orecchie, ingoiando le mie patatine in modo tale da poter parlare. “Cosa, bro?”

“Una doccia.” Ripetè Gian. “Quando hai intenzione di farti una doccia? Inizi a puzzare, o ti lavi di tua spontanea volontà o ti buttiamo sotto il getto dallʼacqua con la forza.”

“Non lo fareste.” Feci spallucce, continuando a pigiare i tasti sul mio joystick. “E poi non capisco perché ne facciate una tragedia, quanti giorni sono, un paio? Ho solo molti tornei da giocare, e non mi va troppo di interrompermi.”

“Un paio? Sono sei giorni che il tuo corpo non vede una goccia di sapone, e che tu non vedi la luce del sole. Ti rendi conto che diventerai cieco a breve, sì?” Continuò con la sua ramanzina, mentre io alzavo gli occhi al cielo. “E poi, ti ricordo che sei un pigmeo. Se voglio ti prendo sul serio in braccio e ti porto in bagno quando voglio.”

“Lasciami stare.” Feci un gesto con la mano, a indicare che doveva andarsene. “Sono maggiorenne e vaccinato, grazie. Non cʼè bisogno che tu mi faccia da balia, mi lavo e stacco quando voglio. Sto benone.”

“Quando vuoi? Non funziona così, sai. Hai degli obblighi, bisogna lavorare, non so se hai presente. Pranziamo con Corinne più tardi, perciò spegni quel maledetto computer che tra poco rischia di scoppiare e datti una sistemata.”

Non era stato scortese o troppo brutale, ma semplicemente giusto, lo sapevo.

Era la prima volta che reagiva così e probabilmente ne aveva tutto il diritto, dato che non facevo altro che respingere ogni tentativo di dialogo o di aiuto da parte loro. Mi andava solamente di giocare, di farmi alzare lʼautostima facendo più punti di chiunque altro per ricordarmi che non ero un completo disastro in tutto. Fine.

Aprirmi, sfogarmi o appendere cartelloni su quanto non poter parlare con lei mi facesse sentire come se mancasse qualcosa proprio non mi andava.
Sapevo che avevo mandato tutto a puttane per un mio errore, mio e solo mio, e volevo vedermela da solo, senza chiacchierate cuore a cuore con i miei amici.

Non mi andava di dover ammettere nuovamente ad alta voce quanto fossi stato coglione, desideravo solamente crogiolarmi nel mio brodo della disperazione, era possibile?

Evidentemente no, perché, come mi aveva ricordato Gianmarco, avevamo un lavoro e dei doveri a cui adempiere.

Comunque, ancora una volta, seppur li avessi tagliati fuori dal mio stato dʼanimo e trattati a pesci in faccia, si rivelarono essere gli amici migliori del mondo.

“Lo so che non vuoi parlare.” Disse infatti Diego, fermandomi in corridoio mentre mi dirigevo a farmi la famosa doccia. “Ma, pensavo... bere?”

“Bere?” Domandai, senza capire.

Probabilmente a causa delle scarsissime ore di sonno e di quelle invece accumulate davanti alla Playstation il mio cervello doveva essersi sciolto del tutto, perché pensai all'acqua. Bere acqua? In che modo avrebbe potuto aiutarmi?

Diego sembrò leggermi nella mente, così si spiegò meglio. “Tanc, bere. Tipo alcol, capisci? Ti va una sbronza?”

“Ah, una sbronza.” Gli feci eco, stropicciandomi gli occhi. “Certo, per quello ci sto sempre. Stasera?”

“Stasera.”

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